Lunedì 1 Luglio 2024
SALVATORE VASSALLO
Editoriale e Commento

Autonomia differenziata, incognita quorum

I due schieramenti potrebbero accorgersi che gli elettori non si mobilitano, un bassissimo tasso di partecipazione renderebbe la consultazione inefficace

Salvatore Vassallo

Salvatore Vassallo

L’autonomia differenziata delle Regioni è un argomento di grande potenza simbolica, che consente di evocare scenari miracolosi o apocalittici. Da un lato, l’idea che le regioni più ricche e virtuose (del Nord) possano fare da traino a una maggiore efficienza complessiva del sistema, dall’altro che il Paese risulti lacerato. La verità è che le concrete implicazioni dell’autonomia sono una totale incognita. Chi ha elaborato stime sulla riduzione o la crescita dei divari l’ha fatto sulla base di congetture e calcoli improbabili. I vincoli determinati da principi astratti disseminati a piene mani nella legge di cui attualmente si discute finiranno per aprire il varco a interpretazioni giurisprudenziali creative. Se si sommano a quelli già dettati dal testo costituzionale, a quelli che stabilmente imbrigliano il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, a quelli di carattere finanziario, ancora più stringenti quando i pozzi del Pnrr si saranno prosciugati, si capisce come la montagna sia destinata a partorire il famoso topolino.

Nella migliore delle ipotesi, alcune Regioni più virtuose riusciranno a fare un poco meglio, in alcuni settori, con le altre semplicemente ferme dove sono. Più verosimilmente, saranno state spese tonnellate di carta e migliaia di ore con poco o nessun costrutto. Ma la potenza simbolica delle due metafore alternative è tale che sono state usate senza risparmio, a fasi alterne, da sinistra e destra. La legge appena approvata delinea il quadro dentro cui dovrebbe avere attuazione l’articolo 116 della Costituzione modificato nel 2001 con una riforma frutto della Bicamerale D’Alema, approvata su impulso dei governi D’Alema e Amato, con il pressante invito a fare in fretta in vista delle imminenti elezioni da parte dell’allora candidato premier del centrosinistra Francesco Rutelli.

Ma, attenzione, si tratta della stessa autonomia a geometria variabile che il centrodestra aveva deciso di cancellare attraverso la riforma costituzionale del 2005, poi bocciata in sede di referendum confermativo. La legge quadro non sarebbe strettamente necessaria per dare attuazione al 116, che non la richiede. Serve semmai a rompere lo stallo sperimentato fino a ora di fronte alle molte incertezze lasciate aperte dal testo costituzionale. Ma, va detto, il primo a proporre di sbloccare lo stallo con una legge quadro è stato, nel 2019, l’allora ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, che prometteva di stipulare i primi accordi attuativi nel 2020. In un mondo normale si discuterebbe di progetti concreti di autonomia. La Regione Veneto, ad esempio, verrebbe sfidata a elaborare un Libro bianco sull’autonomia in campo scolastico che indichi su quali aspetti dovrebbe incidere, a cosa dovrebbe servire, attraverso quali nuovi modelli organizzativi, con quali risorse e con quali risultati misurabili attesi.

La legge verrebbe dopo. Magari anche dopo una sperimentazione, come trascrizione normativa di un disegno di politica pubblica. Nell’Italia dominata dalla propaganda politica e dai legulei, si parte da leggi di principio che delineano scenari futuribili. Cosicché, se oggi si chiede a Zaia a cosa dovrebbe servire l’autonomia regionale in campo scolastico riceve una risposta che più o meno significa "intanto dateci i poteri, poi si vedrà". Poiché il conflitto finisce invece per riguardare simboli e promesse, continuerà con tutta probabilità a essere oggetto di uno scontro ideologico fino al referendum abrogativo. Però a quel punto i leader dell’una e dell’altra parte potrebbero accorgersi che, oggi, le due metafore contrapposte mobilitano l’elettorato molto meno di quanto si aspettano, al punto che un tasso di partecipazione infimo potrebbe rendere il referendum inefficace e tutta la battaglia politicamente inutile.