Siccome a ogni disastro ci segnalano innanzitutto i millimetri d’acqua (tanti, tantissimi) caduti eccezionalmente in pochi minuti, chiariamo una cosa. Di eccezionale, oggi, non ci sono solo le precipitazioni: da anni, oramai, le piogge sono tsunami, bombe d’acqua lanciate dal cielo.
Sarà il cambiamento climatico, il riscaldamento dei mari: sarà quello che la scienza più o meno ha stabilito, ma sta di fatto che da tempo capita che non piova: diluvi. Allora, di eccezionale c’è soprattutto altro: c’è il ritardo nell’adeguare gli interventi di manutenzione e contenimento al nuovo scenario, nel tradurre in concreto il bla bla sulla difesa del territorio, che significa anche difesa delle persone e dell’economia; nel capire che la prevenzione costa meno dell’assistenza, dei rimborsi, parziali, tardivi, dunque inefficaci.
C’è la rabbia nel ripetersi di esondazioni, danni e vittime a distanza di mesi negli stessi luoghi, con le stesse modalità. C’è l’incredulità nel continuare a vedere corsi d’acqua ostruiti da cataste di legname, o strade invase dall’acqua che esce dalle cantine delle case. Incredibile. Insomma, dal Piemonte alla Sicilia passando per il caso Bologna (!) è evidente che per difendere il territorio, e le vite, si è fatto poco, e certamente male; che non possiamo più permetterci con i mezzi limitati che abbiamo di investire in abbellimenti ambientali o genialate urbanistiche, ma che i danari vanno spesi bene e tutti per le opere strutturali, come da (discusse) bacchettate della Corte dei Conti all’Emilia-Romagna.
Se dopo la disastrosa alluvione del 1951, il Po è stato messo in sicurezza, riusciremo a evitare che qualche rigagnolo devasti città e campagne? In fondo non serve molto: chiarezza di compiti tra le tante, troppe autorità “competenti”, consapevolezza delle priorità, applicazione delle leggi, anche del codice penale. Articolo 328: omissione di atti d’ufficio.