Giovedì 26 Settembre 2024
AGNESE PINI
Editoriale e Commento

Basta alibi, nessuno adesso dica io non sapevo

Nessuno può dire di non sapere, oggi, perché sono crollati anche gli ultimi alibi. Un anno e quattro mesi dopo l’alluvione che devastò la Romagna, le colpe umane sono state analizzate. Ma oggi più che di polemiche, chi vive nelle aree ad alto rischio ha bisogno di poche e ragionevoli certezze: che si metta in sicurezza il territorio

Evacuazioni con elicottero a Traversara di Bagnacavallo dove è esondato il Lamone

Evacuazioni con elicottero a Traversara di Bagnacavallo dove è esondato il Lamone

Bologna, 20 settembre 2024 – Nessuno può dire di non sapere, oggi. Perché insieme agli argini sono crollati anche gli ultimi alibi: l’imprevedibilità, la furia del tempo, la sfortuna, gli dei. Il cambiamento climatico, certo: esiste ed è un fatto. Ma neppure quello fa più notizia, ormai. Un anno e quattro mesi fa, dopo l’alluvione che ha devastato la Romagna, le colpe umane erano già state ampiamente squadernate, raccontate, analizzate. E questo giornale le ha più volte denunciate sulle sue pagine: i lavori procrastinati nei decenni per oggettive responsabilità anche della Regione e dei governi che si sono succeduti, i rischi di un territorio fragilissimo, il suo ecosistema in perenne bilico, i suoi traumi, le sue distruzioni, i suoi morti.

A maggio del 2023, sotto il cielo plumbeo della Romagna invasa dalle acque, i “mai più” erano stati così tanti da non riuscire nemmeno a contarli. Mai più, imploravano con gli occhi terrorizzati migliaia di persone sfollate. Mai più, chiedevano i sindaci con le pale in mano per strappare al fango qualsiasi cosa potesse essere salvata.

Mai più, assicuravano e anzi garantivano e promettevano i rappresentanti dei partiti e delle istituzioni, perfino di un’Europa che era apparsa meno distante, meno burocratica, meno fredda del solito.

Invece eccoci qui, di nuovo. Assistiamo alle stesse scene di un anno fa, un film così ripetitivo e avvilente da offendere le nostre intelligenze. L’allerta rossa. L’acqua che sale. I crolli, la devastazione, il timore dei dispersi, la confusione.

In tutto questo ieri mattina, mentre ancora due persone si cercavano nell’inferno di Traversara, mentre si rompeva un nuovo argine del Lamone e l’acqua costringeva a evacuare mille persone, mentre centinaia di frane frantumavano l’Appennino ed ettari di campi venivano distrutti dal fango, mentre donne, uomini, anziani, bambini cercavano la salvezza sui tetti delle loro case allagate, è iniziato il rituale più inutile e odioso: il rimpallo delle responsabilità. Ovviamente in chiave elettorale, visto che fra due mesi in Emilia-Romagna si vota. Con la Regione che accusa il governo e il Governo che accusa la Regione, coi sindaci che si indignano, col politico di turno che spiega: “Non è questo il tempo delle polemiche”.

Il risultato è evidente, è sotto i nostri occhi, è un danno ancora una volta incalcolabile, è la rabbia e l’amarezza di uomini e donne soli – e i più soli di tutti sono sempre quelli con meno mezzi, meno soldi, meno risorse: i più deboli, gli anziani – che, non a caso, hanno smesso di avere speranza e di avere fiducia. Nella politica, innanzitutto.

Perché più che di polemiche, chi vive nelle aree ad alto rischio idrogeologico ha bisogno di poche e ragionevoli certezze. Perché non mettere in sicurezza il territorio, litigare, minimizzare e rinviare – come tante volte è stato fatto in passato, fino a oggi – significa solo esporre di nuovo tutti quanti noi al rischio di essere spazzati via dalla prossima ondata di piena.

Nessuno, questa mattina, potrà dire di non sapere. E non agire non sarebbe solo un errore. Sarebbe una colpa oggi davvero imperdonabile.