Venerdì 20 Dicembre 2024
Agnese Pini
Editoriale e Commento

Una memoria di popolo per restare uniti

I conti con la Storia: com’è possibile che ogni 25 aprile ci si trovi a dibattere sulla festa fondante della nostra democrazia e della nostra Repubblica?

Una celebrazione del 25 Aprile

Com’è possibile, 79 anni dopo, trovarci ancora a questo punto? Perché mai non siamo riusciti a fare i conti con il nazifascismo, con la guerra, con la Liberazione? Com’è possibile che ogni 25 aprile, anno dopo anno, puntuali quanto l’influenza a gennaio, ci si trovi a dibattere sulla festa fondante della nostra democrazia e della nostra Repubblica?

Stavolta tocca al discorso di Antonio Scurati censurato da Rai Tre, ma la letteratura in merito è lunga, ormai esausta di argomentazioni plausibili, e spesso francamente imbarazzante. Dunque, com’è possibile? Ottant’anni sono sufficienti per essere archiviati come Storia.

La Storia diventa tale quando si traduce in un valore, in un’idea morale che va a costituire le fondamenta di uno Stato, un’idea morale pienamente condivisa da un popolo e da ciò che lo definisce nazione. Immaginate se in Francia, nei giorni della commemorazione per la presa della Bastiglia – che sancisce l’inizio della Rivoluzione francese e dunque la scintilla delle democrazie occidentali – ci si accapigliasse rispetto a quanto di male è arrivato con Robespierre e con il Terrore. La presa della Bastiglia è, per la storia della Francia e di tutto l’Occidente, un fatto sacro e imprescindibile per leggere tutto ciò che è accaduto dopo.

Fino ai giorni nostri. Ebbene, il 25 aprile per l’Italia incarna qualcosa di molto simile: è l’inizio di una stagione stra-ordinaria – nella misura in cui è davvero fuori dall’ordinario – di democrazia, di libertà, di pace. E allora perché non lo sentiamo fino in fondo? Perché la memoria del fascismo e della Liberazione resta sostanzialmente una memoria familiare: ogni famiglia conserva e tramanda il proprio personale ricordo rispetto a quei fatti.

La memoria familiare è preziosissima, ma è inevitabilmente divisiva. Quello che non siamo stati in grado di fare pienamente, negli ultimi ottant’anni, è stato trasformare quelle memorie familiari in una memoria di popolo. Una memoria, cioè, capace di trasferire sui cittadini un valore superiore alle divisioni che ci hanno lacerato e diviso, tra odi e incomprensioni non sopiti e l’ancor più pericoloso qualunquismo di chi vorrebbe derubricare una data così importante alla noia dei nostalgici delle ricorrenze.

Significa non sapere da dove arriviamo, e dunque non sapere chi siamo. Significa condannarci all’eterna immaturità di un Paese che non avendo fatto i conti con se stesso resterà sempre piccolo. E soprattutto debole.