Roma, 14 dicembre 2017 - Web tax, quanto mi costi. Rispetto all’ipotesi uscita dal Senato, che impone una tassa del 6% ai servizi digitali dei giganti del web, come Google o Amazon, e genererebbe un gettito fiscale di 114 milioni di euro a partire dal 2019, alla Camera si stanno operando delle modifiche sostanziali per applicarla a tutte le transazioni digitali e a partire dal 2018. La proposta del presidente della commissione Bilancio, Francesco Boccia, abbassa l’imposta dal 6 all’1%, allargandola al tempo stesso a tutte le transazioni online e in questo modo aumenterebbe il gettito a 600 milioni a partire dal 2018. Ma questo allargamento, secondo autorevoli economisti come Francesco Giavazzi e Giampaolo Galli, rischia di non colpire i giganti come Google, Amazon e Apple, bensì i consumatori e le imprese italiane. «Le modifiche apportate dal maxi-emendamento del governo porterebbero a una seconda Iva su tutti i consumi digitali, comprese le bollette», spiega Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia, la federazione che riunisce oltre 500 imprese dei servizi pubblici locali nei settori acqua, energia, gas e rifiuti.
L'imposta sulle transazioni digitali, infatti, si riferisce a tutte le «prestazioni di servizi effettuate tramite mezzi elettronici», quindi finirebbe per ricomprendere anche i contratti di fornitura di energia, gas e acqua conclusi attraverso i siti web dei distributori. «Questi contratti sono già soggetti a una complessa tassazione e l’inclusione nell’ambito della web tax, oltre ad appesantire le bollette, avrebbe come effetto collaterale di disincentivare l’utilizzo delle piattaforme web, proprio ora che si spingono al massimo i cittadini verso forme di pagamento online delle fatture e verso la dematerializzazione documentale», rileva Colarullo. «In pratica, una web tax concepita in questo modo finirebbe per limitare la concorrenza proprio a discapito delle imprese più innovative, andando in direzione opposta a quella intrapresa negli ultimi anni a beneficio dei consumatori», aggiunge.
Per Massimo Mucchetti, uno degli autori della legge passata a Palazzo Madama, «l’allargamento della tassa a tutte le transazioni online finirebbe per tradursi in una pesante maggiorazione de facto dell’Ires per le imprese web italiane diminuendo, al tempo stesso, dal 6 all’1% il tributo a carico delle varie Google, che oggi vendono servizi digitali in regime di elusione fiscale».
La norma varata dal Senato e arrivata ora in discussione alla Camera, infatti, non grava sulle imprese web che già pagano le tasse in Italia. E, di fatto, nemmeno sui consumatori. «Viceversa l’idea d’imporre un tributo dell’1% su tutte le transazioni, in particolare sull’e-commerce, finirebbe per costituire un prelievo direttamente a carico dei clienti finali e delle imprese web italiane», precisa Mucchetti.
I prativa, dopo che il governo ha fatto i salti mortali per disinnescare l’aumento dell’Iva, adesso si rischia di varare un’Iva bis sulle modalità più moderne di scambio di beni e servizi. «Sarebbe un autogol», commenta Colarullo.