Giovedì 6 Febbraio 2025
REDAZIONE ECONOMIA

Che indicatore è la volatilità? Perché occorre conoscerla?

Che cos’è la volatilità, come si calcola e cosa indica: un quadro generale per facilitare la lettura del mercato.

Volatilità - Crediti Ansa Foto

Volatilità - Crediti Ansa Foto

Roma, 6 febbraio 2025 – Tra gli indicatori economici e finanziari più importanti c’è, sicuramente, la volatilità in quanto permette in maniera sintetica di inquadrare il profilo di rischio di un dato titolo azionario, un derivato o di un fondo. Da quanto detto si evince che la volatilità è uno dei parametri maggiormente utilizzati nel campo del risck management, soprattutto per permettere una stima verosimile sull’andamento del rendimento futuro di uno strumento finanziario e favorire la confrontabilità delle stesse con altre opportunità di investimento. Volendo darne una definizione canonica, possiamo definirla come la misura dello scostamento dei prezzi di date attività finanziarie rispetto al loro valore medio in un certo intervallo di tempo.

Volatilità, l’utilizzo che se ne fa nella finanza

Nel mondo della finanza, la volatilità viene intesa come un indicatore in grado di misura l’incertezza di rendimento di un determinato strumento, sia questo un titolo, un fondo o un derivato. Entrando più nello specifico, la volatilità consente di capire l'ampiezza e la frequenza delle variazioni del valore medio di un dato strumento in un periodo di tempo preso a riferimento.

Quanto all’interpretazione, in ambito finanziario un titolo che si muove velocemente, ad alta volatilità, rappresenta un investimento i cui margini potrebbero crescere rapidamente e favorire interventi di natura speculativa. Tale assunto è vero soprattutto per i trader più esperti, ovvero coloro che sanno ben sfruttare le forti oscillazioni di prezzo a proprio vantaggio riuscendo a garantirsi un rischio diversificato. Fondamentale è inoltre il fattore tempo, con la volatilità di un titolo che è fortemente correlata alla sua durata: strumenti a volatilità alta hanno, solitamente, una durata più lunga.

Benché molto utile, la volatilità finanziaria è un indicatore non sempre facile da interpretare in quanto, se da una parte offre una misura dell’incertezza di un’attività finanziaria, dall’altra non può mai essere utilizzata in maniera meccanica per prevedere l’andamento. Proprio in virtù di quanto appena detto, i trader affiancano all'indice della volatilità anche altre metriche per interpretare e comprendere il rischio di un dato investimento. Il principale è il Var, ovvero l’indicatore specifico sulle potenziali perdite che potrebbe subire un dato investimento.

Il calcolo della volatilità

Per poter dare un valore numerico alla volatilità è necessario eseguire dei calcoli matematici. In questo caso possiamo dire che l’indicatore è pari allo scarto quadratico medio (cioè la radice quadrata) delle variazioni di prezzo o dei tassi di riferimento. Il risultato di questa operazioni mostra quanto le singole rilevazioni si disperdono rispetto alla media, con le diverse posizioni che delineano:

- un volatilità bassa, quando sono vicine alla media;

- una volatilità alta, quando sono più lontane e dunque la dispersione dei risultati intorno al valore medio è significativa e sensibile alle oscillazioni, anche molto forti, che possono verificarsi nel breve periodo.

Calcolando la volatilità basandosi sui dati di uno strumento finanziario in un arco temporale definito, inoltre, è possibile definire il valore storico della stessa, che permetterà anche un confronto con il passato e con i dati futuri. A questo si aggiunge che, con il fine di proiettare in avanti le misurazioni della volatilità, nel tempo si è cominciato a usare sempre di più strumenti finanziari derivati (opzioni) che permettono l’estrapolazione del valore della volatilità implicita. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un vero termometro, con i trader che all’aumentare della “temperatura” si aspettano future tensioni dei prezzi mentre, nel caso inverso, attendono una situazione di maggiore calma in linea con l’andamento precedente. È bene precisare che questo parametro include, per definizione, un margine d’errore che potrà essere smentito solo dalle effettive performance future del titolo.

Volatilità, un ulteriore focus

Concentriamo ora la nostra attenzione sul funzionamento intrinseco della volatilità. Il primo aspetto da cui partire è il fatto che essa dipende dal titolo considerato, con ogni asset class che è caratterizzato da una tendenza diversa che viene espressa in termini percentuali. Volendo fare qualche esempio concreto, è possibile dire che i titoli azionari presentano solitamente una volatilità media nel lungo periodo pari a circa il 20%, con il livello che molto risentirà della liquidità e del settore di riferimento. Nel caso delle obbligazioni (strumento dal minore rischio), invece, la percentuale di volatilità media scende al 4%.

Volatilità, indici e indicatori

Vista la sua grande importanza per il mondo della finanza, molti sono gli indici e gli indicatori di volatilità che vengono utilizzati dai trader. Questi, infatti, oltre a stimare il rischio di un titolo, possono offrire un’ampia lettura delle possibilità del mercato nel suo complesso.

Tra gli strumenti più utilizzati troviamo sicuramente l’indice di volatilità che si riferisce a un paniere di titoli preso a riferimento. I più comuni sono il Vix (Volatility Index) che viene calcolato sull’indice dei 500 titoli a maggiore capitalizzazione del mercato statunitense, cioè l’S&P500. E ancora, molto in voga è anche il VStoxx che fa riferimento all’indice EuroStoxx 50 (aggregato dei 50 titoli europei a più alta capitalizzazione).

Per ciò che riguarda gli indicatori, la volatilità può essere calcolata prendendo in considerazione il cosiddetto beta, ovvero il parametro che permette di confrontare la volatilità di vari tipi di asset, come derivati ed ETF, con il resto del mercato o con un benchmark di riferimento. Se il beta ha un valore inferiore a 1 vuol dire che l’asset oscilla meno del mercato stesso e l’investimento avrà un profilo più alto di sicurezza a fronte di una minore redditività. Si verifica la condizione opposta, invece, nei casi in cui il beta è superiore a 1.