Bruxelles, 8 dicembre 2016 - Il bilancio dell’Unione europea è poca cosa rispetto alla dimensione della spesa pubblica nei 28 Stati membri, poco meno di mille miliardi per il periodo 2014-2020. I bilanci nazionali sono 50 volte più grandi. Eppure è uno snodo fondamentale delle politiche europee, da sempre terreno di forti divisioni tra i governi. Oggi ancora più profonde dati i tanti fronti di divisione che esistono nella Ue: Est-Ovest sull’immigrazione, Nord-Sud sull’orientamento delle politiche sociali ed economiche comuni. Brexit aggiunge incertezza: se ne va un Paese che ha beneficiato di forti sconti, ma se i «27» non aumenteranno i loro contributi il bilancio europeo sarà ancora più debole.
I conti europei sono uno degli argomenti principe dell’attacco del premier Renzi alla paralisi europea sulla ripartizione dei rifugiati. Attacco rivolto in particolare ai paesi dell’Est: il Gruppo di Visegrad, cioè Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, è un grande beneficiario dei fondi Ue ed è il capofila del no alla ripartizione dei rifugiati. Alfiera di una solidarietà a senso unico. Nel 2015 la Polonia ha ha avuto introiti netti dalla Ue di 9,4 miliardi, l’Ungheria guidata da Viktor Orban, il leader nazionalista più estremo che si trovi oggi al potere nella Ue, ha ottenuto 4,6 miliardi netti. I paesi che hanno beneficiato maggiormente del bilancio Ue con un saldo netto positivo dal 2007 sono Polonia (saldo record di 73,2 miliardi), Ungheria e Grecia.
Nel 2015, undici dei 28 membri del blocco europeo erano contribuenti netti al bilancio: Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Olanda, Austria, Finlandia, Svezia, Lussemburgo, Danimarca, Cipro. Tra il 2007 e il 2013, l’Italia ha versato alla Ue 109,7 miliardi di euro, ricevendone 71,8: il saldo negativo registrato è di 37,9 miliardi. Insieme a Germania, Regno Unito e Francia, fa parte del gruppo dei contribuenti più generosi dell’Unione.
Il bilancio 2014-2020 è di 970 miliardi, una parte consistente torna nei Paesi di origine come fondi strutturali, di coesione, sussidi all’agricoltura, finanziamenti di interventi sociali, centinaia di programmi europei. Il maggior contribuente è la Germania, che nel 2015 ha avuto un saldo passivo verso la Ue di 14,3 miliardi (15,5 miliardi nel 2014). Seguono Francia (5,5 miliardi nel 2015 e 7,1 nel 2014), Italia (2,6 miliardi nel 2015 e 4,4 nel 2014 dopo 3,7 miliardi nel 2013 e 5,05 nel 2012, 5,9 miliardi nel 2011, 4,5 nel 2010, 5,05 nel 2009, 4,1 nel 2008, 2,01 miliardi nel 2007). Questi dati, indica Bruxelles, non tengono conto, però, di altri ‘incassi’ dovuti a specifiche politiche Ue.
Si può concludere che fra il 2007 e il 2013 la differenza tra i contributi dell’Italia al bilancio Ue e i fondi ricevuti si è attestata attorno a 5 miliardi l’anno. Per il periodo 2014-2020 dovrebbe essere attorno a 4 miliardi grazie all’aumento delle risorse nell’ambito della politica di coesione. Secondo una elaborazione dell’Osservatorio Il Sole 24 Ore-Gruppo Clas, dal 2007 al 2015 Berlino ha dato al bilancio Ue 81 miliardi in più di quello che ha ricevuto, Parigi ha dato in più 48,5 miliardi dal 2007 mentre l’Italia (al quinto posto dopo l’Olanda) registra un saldo negativo tra quanto versato e quanto ricevuto di circa 35 miliardi. I Paesi che hanno beneficiato maggiormente del bilancio Ue con un saldo netto positivo sono Polonia (saldo record di 73,2 miliardi), Ungheria e Grecia. Stando a una elaborazione del ‘think tank’ americano Stratfor, il Lussemburgo è il maggior beneficiario netto dei fondi Ue, se misurati come contributi netti pro-capite: 2.278 euro per abitante contro 448 euro della Grecia, i 240 della Polonia e i 37 dell’Irlanda. L’Italia, insieme ad altri 10 paesi contributori netti su 28, è contributore netto per 59 euro pro capite, la Francia per 92 euro, la Germania per 211, il Regno Unito per 215, la Svezia per 262 e l’Olanda per 331.