Giovedì 21 Novembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Uiltucs: “Per l’emergenza salariale servono nuove regole di contrattazione”

La ricetta del sindacato per recuperare il potere d’acquisto e redistribuire una quota degli aumenti di produttività registrati nel settore

Paolo Andreani, segretario generale della Uiltucs

Paolo Andreani, segretario generale della Uiltucs

Roma, 21 novembre 2024 – Solo avviando una stagione di riforma della contrattazione collettiva sarà possibile cominciare a recuperare il potere d’acquisto perduto e redistribuire verso i salari una quota degli aumenti di produttività registrati nel settore. È in questa direzione che va la proposta presentata oggi a Roma dal segretario generale della Uiltucs, Paolo Andreani, nel corso di una tavola rotonda con i principali vertici delle associazioni imprenditoriali del terziario, del commercio, della cooperazione. “Salari in linea con l’inflazione reale e redistribuzione delle quote di produttività – avvisa il leader del sindacato della Uil del settore –. Basta mezze misure”.

L’Italia – si legge nella proposta – si caratterizza, più degli altri Paesi europei, per una grave emergenza salariale e per un crollo del potere di acquisto del mondo del lavoro, che si accompagnano a fenomeni endemici di lavoro povero e precario. "Nuove e ambiziose proposte per una riforma del sistema contrattuale in Italia – spiegano dalla Uiltucs – sono necessarie e indifferibili, non solo per risolvere i problemi accumulati e restituire al mondo del lavoro diritti e adeguata partecipazione alla ricchezza del paese, ma anche per costruire una crescita economica più inclusiva e sostenibile e, in definitiva, quella società più giusta che è da sempre un valore e un obiettivo strategico della Uiltucs e della Uil tutta".  

È con questa consapevolezza che la Uiltucs, nel definire le proprie proposte di riforma del modello contrattuale per il terziario di mercato, individua come obiettivo prioritario quello di aumentare i salari dei lavoratori e delle lavoratrici, riallineandoli all’inflazione reale e redistribuendo quote di produttività del lavoro ai lavoratori e alle lavoratrici che la generano.

Ma la Uiltucs ritiene anche che, per conseguire questo obiettivo, sia necessario rafforzare la contrattazione collettiva nazionale, estendere e rendere più efficiente quella decentrata, garantire certezza dei rinnovi contrattuali, e combattere la frammentazione e il dumping contrattuali.

Allo stesso modo si ritiene necessario rafforzare il ruolo delle organizzazioni sindacali e delle RSU/RSA sull’organizzazione del lavoro, assicurare una più adeguata remunerazione del lavoro disagiato (domenicale, festivo) e contenere e regolare la flessibilità dell’orario di lavoro con particolare riferimento all’orario del part-time e al lavoro supplementare.

Occorre, dunque, sostituire l’Ipca, l’attuale indicatore del costo della vita, con un indicatore basato su un paniere in linea con l’inflazione reale. Poi, portare o confermare la vigenza del contratto nazionale a quattro anni e confermare i due livelli contrattuali, nazionale e decentrato. In più prevedere l’adeguamento biennale del salario nazionale di settore all’inflazione, e introdurre per via contrattuale un meccanismo di recupero certo di una parte sostanziale dell’inflazione reale nei casi di mancato accordo e di scostamento tra salari e inflazione. Altri punti: assicurare che gli accordi aziendali prevedano erogazioni di salario legate alla produttività e al suo incremento; introdurre e privilegiare l’incremento della produttività del lavoro accanto agli indicatori di redditività, efficienza, ed efficacia fin qui usati nella distribuzione organizzata; assicurare la partecipazione e l’accesso dei lavoratori all’organizzazione del lavoro delle imprese, ai bilanci e ai dati sulla base dei quali l’impresa determina il raggiungimento degli obiettivi per l’erogazione dei premi. Infine, estendere e rafforzare forme di contrattazione territoriale con meccanismi di redistribuzione di quote della produttività del lavoro.

“Non possiamo più accettare – incalza Andreani – che in presenza di una sostanziale stagnazione degli investimenti, più 1,6%, la crescita del margine operativo lordo di molte imprese che si è spinto al 44% ed un aumento generalizzato dei profitti non venga redistribuita la produttività realizzata”.