Venerdì 8 Novembre 2024
Maddalena De Franchis
Economia

Terre rare, quando il giacimento è nel ripostiglio di casa

I vecchi telefoni inutilizzati custodiscono una quantità inimmaginabile di materiali da recuperare

Cellulari in un'immagine d'archivio

Cellulari in un'immagine d'archivio

Roma, 1 agosto 2023 – Entro fine anno l’Italia riaprirà le miniere per estrarre le materie prime critiche, ovvero tutti quei metalli e altri materiali considerati fondamentali per la transizione energetica. Ad annunciarlo è stato, qualche settimana fa, il ministro per le Imprese e il made in Italy Adolfo Urso, che ha reso noto di aver intrapreso, assieme al ministero dell’Ambiente, un tavolo di lavoro per mappare il sottosuolo italiano. Tuttavia, prima di riaprire le vecchie miniere o avviare l’attività di nuovi giacimenti (entrambe operazioni dal notevole impatto ambientale, oltre che economico), potrebbe essere sufficiente aprire i cassetti e frugare nei ripostigli. Non è una boutade: i vecchi telefoni cellulari, che giacciono inutilizzati in quasi tutte le nostre case e rappresentano un problema enorme in termini di corretto smaltimento dei rifiuti elettronici (i cosiddetti Raae), custodiscono una quantità inimmaginabile di materiali da recuperare.

Vecchi smartphone o piccoli giacimenti? Secondo uno studio di E-waste lab, il laboratorio creato dal consorzio Remedia (uno dei principali sistemi collettivi no-profit italiani per la gestione eco-sostenibile dei Raae) in collaborazione con il Politecnico di Milano, la composizione media di un cellulare consiste in 9 grammi di rame, 11 grammi di ferro, 250 milligrammi di argento, 24 milligrammi di oro, 9 milligrammi di palladio, 65 grammi di plastica, 1 grammo di terre rare. La batteria al litio contiene a sua volta 3,5 grammi di cobalto e 1 grammo di terre rare. Riciclando 50mila cellulari, inoltre, si possono recuperare ben 1.2 chilogrammi di oro e ridurre, al contempo, l’immissione nell’atmosfera di tonnellate di anidride carbonica (57.8 tonnellate in meno grazie all’abitudine di un terzo delle famiglie italiane di regalare i vecchi dispositivi invece di disfarsene). Il valore che risulterebbe dalla vendita dei metalli risparmiati (tra cui oro, argento, palladio, platino e rame) grazie al riciclo di telefonini e smartphone usati, sarebbe pari a 160,2 milioni di euro.

Risorse oggi sprecate In un recente rapporto, denominato ‘What a Waste 2.0: A global snapshot of solid waste management to 2050’, la Banca mondiale prevede un aumento del 70% della produzione dei rifiuti urbani nel 2050. Guardando nello specifico a quelli tecnologici, nel solo 2022 sono stati accantonati, in tutto il mondo, oltre 16 miliardi di cellulari: sovrapponendoli, costruiremmo una torre alta 50mila chilometri, circa 6mila volte più dell’Everest. E l’Italia ha il triste primato di essere fanalino di coda in Europa per quanto concerne la raccolta dei rifiuti elettronici: appena il 39.4%, a fronte di una media europea del 46.8%, comunque lontana dall’obiettivo Ue del 65%. La media di raccolta pro-capite è pari a 6.5 chilogrammi, contro i 10 chilogrammi della media continentale.

La nuova frontiera si chiama ‘urban mining’ Alla luce di questi dati, emerge quanto sia importante puntare sul riciclo e sul cosiddetto ‘urban mining’ (estrazione dei materiali dai rifiuti urbani) attraverso investimenti in impianti di ultima generazione e nuove competenze. L’urban mining, infatti, presenta il duplice vantaggio di garantire adattabilità ai cambiamenti nella domanda di materiali critici e, soprattutto, di coinvolgere attivamente la società civile, favorendo la specializzazione in attività tecnologicamente più avanzate ed ecosostenibili.

Esempi di urban mining in Italia Alcune iniziative in tal senso esistono già: ad esempio, il servizio ‘Uno contro zero’, attivo dal luglio 2016, dà la possibilità di consegnare gratuitamente apparecchi elettronici fino a 25 cm ai grandi negozi di elettronica. Poi, il progetto ‘Portent’, cofinanziato dalla Regione Lazio con 140mila euro e coordinato dall’Enea: è stato intrapreso con l’obiettivo di mettere a punto un processo innovativo di estrazione di materiali e metalli dai cellulari a fine vita, con tecnologie idro-metallurgiche, a bassi consumi energetici. Tra le aziende più importanti d’Italia per il recupero di metalli preziosi dagli smartphone c’è Ecomet Refining, fondata da Alberto Tosoni a Spino d’Adda, nel Cremonese. Il rapporto con oro e metalli preziosi, per i Tosoni, è un affare di famiglia: il bisnonno di Alberto era un cercatore d'oro in Ticino; il nonno e il padre avevano un'attività artigianale di recupero di metalli preziosi da scarti orafi, in Ticino e a Milano. Ecomet tratta tra le mille e le 1.500 tonnellate di rifiuti all'anno, producendo circa 10 tonnellate di metalli preziosi. Nei prossimi mesi è prevista l’apertura di una nuova fabbrica a Treviglio, Bergamo, che produrrà dieci volte i volumi attuali, con circa 18.000 tonnellate di rifiuti trattati.