CE LO CHIEDE l’Europa. Quando un governo deve mettere le mani nelle tasche degli italiani — dalla riforma delle pensioni alle imposte sulla casa — si difende con la scusa di Bruxelles. Vista la sfida lanciata da Matteo Renzi ai “tecnocrati” europei, c’è da credere che questa volta non verrà utilizzato il solito ritornello per inasprire ancora le aliquote Iva. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dopo le voci circolate con forza negli ultimi giorni e l’immediato allarme lanciato da consumatori e commercianti, ha smentito nuovi interventi sulle tasse. Speriamo. Perché alzare di nuovo l’Iva (l’imposta più evasa dagli italiani, con una percentuale quasi doppia rispetto all’Irpef) si trasformerebbe nell’ennesimo colpo sui consumi.
E SOPRATTUTTO sulle famiglie a minore reddito dove verrebbe quasi annullato l’effetto bonus da 80 euro, che ancora non si è visto sul fronte dei consumi. E’ vero che la Ue, tutti gli anni, raccomanda un’armonizzazione dell’Iva, ma le aliquote dei Paesi dell’Eurozona restano una vera e propria giungla. E un’eventuale riforma complessiva, nel nome di un’unione non solo monetaria ma anche fiscale, dovrebbe spettare a Bruxelles. Non si capisce, invece, perché l’Italia, dopo aver già alzato dal 20 al 22% l’aliquota ordinaria (oramai tra le più alte d’Europa) dal 2012 al 2013 – con ridotti risultati per l’Erario che nel 2013 ha perso 3 miliardi di gettito Iva su un totale di 112 – dovrebbe ancora affossare i consumi che dal 2008 sono crollati di quasi l’8%. E hanno visto bruciare ben 78 miliardi di spesa. Una caduta che non si è ancora arrestata anche se il fondo sembra ormai vicino. DEL RESTO con i redditi degli italiani tornati a livelli di 30 anni fa e il potere d’acquisto scivolato a metà anni Novanta, con 2700 euro all’anno spariti dalle tasche delle famiglie, era difficile sperare in una ripartenza dei consumi. Che restano fondamentali per vendere beni e servizi e quindi per la buona salute delle imprese. E per la difesa e la crescita dei posti di lavoro in un Paese che ha un 12,6% di tasso di disoccupazione e ben oltre il 40% per i giovani. Mettere una nuova “tassa sul pane”, alzando dal 4 al 10 o addirittura al 15% l’aliquota Iva agevolata (applicata su molti altri beni di prima necessità come il latte o l’ortofrutta) e colpire anche prodotti e servizi che oggi scontano un’Iva al 10% (tra i quali tutta la filiera del turismo, uno delle poche industrie tricolori che ancora tirano), rischia di trasformarsi in un boomerang anche per le casse dello Stato. Soprattutto se l’inasprimento delle imposte indirette scatterà – come sempre, purtroppo - senza ridurre le tasse sul lavoro e sulla casa. Così siamo sempre in recessione, la luce in fondo al tunnel si allontana e restiamo, come ci ha avvertiti l’Ocse, l’unico Paese del club dei Sette grandi al palo. Forse perché ci siamo dimenticati che la cura delle tasse, Iva compresa, non fa mai rima con la parola crescita.