Roma, 4 maggio 2019 - Tasse comunali, avanti tutta. Chi più ne ha, più ne metta. Nel bestiario fiscale dell’Azienda Italia non c’è limite alla fantasia. Una stangata che vale, complessivamente, 47 miliardi di euro, più o meno duemila euro a famiglia. È il costo delle tasse locali. Ma dentro, non ci sono solo le sigle più note (e, forse, anche più odiate) come Imu e Tasi. O quelle più ‘blasonate’, come la tassa di soggiorno. L’elenco è lungo. Ben oltre i cento balzelli individuati dai commercianti della Confesercenti e dagli artigiani della Cgia di Mestre nei dossier che continuano ad aggiornare. Una faticaccia stare indietro alle tante novità che spuntano un po’ dovunque nei piccoli e grandi comuni, anche per l’Agenzia delle Entrate e per gli agenti della riscossione. E dal momento che circa il 90% di tutte le entrate locali arriva dalle tre o quattro imposte più importanti, per il resto rischiano di essere più salati i costi di gestione delle imposte che gli incassi. Poco importa, la corsa all’ultimo balzello non si ferma.
C'è, ad esempio, il sindaco che decide di tassare l’ombra, quella che invade il suolo pubblico dalle sporgenze di tende o di insegne. Ma si paga anche se si decide di stampare il proprio nome sullo zerbino che accoglie i clienti: sarà pure poco nobile, ma sempre di pubblicità si tratta. Deve fare particolare attenzione, poi, chi decide di raccogliere funghi: deve pagare un’imposta di bollo. E non se la passa bene neanche chi ha l’hobby della caccia o della pesca. Ci sono le relative tasse di concessione governativa che scattano anche per il semplice possesso di un fucile. Non si praticano sconti per nessuno, neanche ai defunti: le tasse che gravano sul ‘caro estinto’ sono tante: dall’imposta sulla manutenzione cimiteriale a quella sull’occupazione di suolo pubblico per loculi e cappelle.
Bisogna pagare anche se si decide di conservare in casa le ceneri del defunto o per avere il documento dell’Asl che certifica il decesso. Una follia. Devono mettere mano al portafoglio i proprietari di immobili che hanno gradini di ingresso sulla pubblica strada. Come a dire: si paga un obolo anche per uscire di casa. O, in qualche caso (per fortuna veramente limitato) per affacciarsi sui ballatoi, i grandi balconi che girano attorno ai palazzi per sfruttarne la vista.
Inutile dire che c’è la tassa sui passi carrai e, quelle, altrettanto note, che gravano sulle auto e sui carburanti. Molti Comuni, invece, hanno deciso di fare cassa anche sui matrimoni, con tariffe variabili a seconda del giorno in cui ci si sposa: nei weekend costa di più, fino a 200 euro a coppia. Un paradosso nel Paese dove nascono sempre meno famiglie. Ma, si sa: al peggio non c’è mai limite. E, in Sicilia, ad esempio, si erano inventati, per tempo, la tassa sui tubi: variava a seconda del volume delle condotte che trasportavano gas. In un rigurgito di coscienza è stata però assorbita dalla tassa per l’occupazione di suolo pubblico. Ma attenzione al verbo: assorbita non vuol dire cancellata. Si continua a pagare con un altro nome. Si continuano, invece, a pagare i balzelli sui lampioni per le strade o sull’attraversamento delle linee elettriche o telefoniche. Alcuni comuni, poi, non hanno fatto sconti a nessuno. Neanche al cosiddetto spirito della Patria. Ed hanno deciso di tassare perfino la bandiera nazionale. Una svista, per carità, l’applicazione pedissequa di un regolamento che applica la tassa sulla pubblicità anche sugli slogan diffusi attraverso le bandiere. È avvenuto a Desio, quando il Comune decise di far pagare 180 euro al proprietario di un hotel perché dal suo balcone sventolavano cinque bandiere, tra cui quella italiana. Qualche mese dopo il sindaco restituì il maltolto con tanto di scuse. Se non altro, questa volta, ha vinto il buon senso.
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