Martedì 16 Luglio 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Il viceministro Leo: “Parte il nuovo Fisco. Più soldi in busta paga e sanzioni meno pesanti”

Il ’padre’ del riassetto tributario del governo Meloni spiega la riforma. “Il prossimo obiettivo sarà estendere i benefici anche al ceto medio. La semplificazione è importante: gli italiani non possono pagare per l’incertezza”

Il viceministro dell'Economia Maurizio Leo (Ansa)

Il viceministro dell'Economia Maurizio Leo (Ansa)

Roma, 3 gennaio 2024 - Il 2024 sarà l’anno della prima tappa della riforma fiscale, a cominciare dal taglio dell’Irpef. “La prima tappa in realtà l’abbiamo già portata a termine – avvisa Maurizio Leo, viceministro dell’Economia, ‘padre’ del complessivo riassetto tributario avviato dal governo Meloni - e con un ottimo risultato: l’approvazione definitiva di ben sei decreti legislativi di attuazione della riforma in poco più di quattro mesi, con altri due che sono in fase di approvazione. Per farla breve, il primo tassello della riforma è stato fissato. Anche perché i provvedimenti che siamo riusciti a finalizzare sono tutti molto importanti: Fiscalità internazionale, Contenzioso tributario, Adempimento collaborativo, Nuovo statuto del contribuente, Adempimenti-versamenti e, per l’appunto, prima revisione dell’Irpef”. In che termini, quest'ultima, inciderà sulle buste paga e sui compensi dei lavoratori? «E’ un intervento che va letto insieme con la conferma, per il 2024, del taglio del cuneo sulle retribuzioni fino a 35mila euro lordi. In generale, il beneficio massimo di queste due misure porterà nelle buste paga degli italiani fino a circa 1.500 euro in più l’anno. Con le risorse a disposizione abbiamo voluto dare un segnale concreto alle fasce medio-basse, quelle, per intenderci, più colpite dall’inflazione e dal rialzo dei tassi». Su quali altri fronti interviene la riforma tributaria? “E’ una riforma che guarda a trecentosessanta gradi e abbraccia tutti gli ambiti del nostro sistema tributario. Teniamo conto che in Italia l’ultima riforma fiscale è stata fatta oltre cinquant’anni fa. Nel frattempo, lo scenario economico-sociale è profondamente mutato e non possiamo avere la presunzione di immaginare che una riforma pensata per l’Italia degli anni ’70 possa funzionare nel 2024. Non significa gettare via tutto quanto, ma ripensare nel complesso un sistema che oggi non riesce a stare al passo con le esigenze di cittadini e imprese. E di questo non possiamo nemmeno incolpare l’amministrazione finanziaria, alla quale dobbiamo dare gli strumenti necessari per poter dialogare con i contribuenti”. Ci faccia qualche esempio del fisco «lunare» da cambiare. “Primo: abbiamo un sistema di dichiarazioni che è assolutamente pesante con circa 1.000 pagine di istruzioni per la dichiarazione dei redditi. In particolare, 140 pagine per il modello 730, 350 pagine per il modello persone fisiche, 250 pagine per le società di persone e 300 per le società di capitale. Pensate che Guerra e pace, nell'edizione Mondadori, ha 1.400 pagine”. Continuiamo con gli esempi. “Secondo: abbiamo un sistema di norme fuori da ogni logica. In questi decenni ci sono stati interventi di manutenzione, ma mai strutturali. In materia di imposte sui redditi, Irpef e Ires, è stato fatto un testo unico nel 1986 e da allora ad adesso gli interventi sono stati un migliaio. In materia di Iva, ci sono stati 500 interventi modificativi”. Fino alle sanzioni stratosferiche. “Certo. Abbiamo un sistema sanzionatorio sproporzionato. Non è pensabile, per esempio, che in materia di Iva ci siano sanzioni dal 120 al 240%. Bisogna arrivare al massimo al 60%, come nella media europea. Ovviamente, frodi e truffe non rientrano in questo discorso. Chi è disonesto deve pagare com’è giusto che sia, e lo abbiamo sempre detto, ma non si può pensare di fare di tutta l’erba un fascio, vessando magari quei contribuenti che semplicemente sbagliano”. Come e quando cambierà questa sproporzione? “A gennaio presenteremo i decreti su riscossione e sanzioni. Per quanto riguarda la parte sulle imposte, invece, stiamo lavorando su misure che non costano o che costano poco, come quelle che fanno chiarezza. Confusione e incertezza sono infatti una tassa occulta che i contribuenti italiani non possono più continuare a pagare”. Sia per il cuneo sia per l’Irpef si tratta di misure che dovranno essere rifinanziate per gli anni a venire. Ritiene che sarà possibile? “Dobbiamo sempre tenere conto degli equilibri di bilancio. Agire con prudenza per noi è un fatto di serietà. Poi capisco anche coloro che ci criticano. Sono gli stessi che hanno spacciato il superbonus per una misura “gratuita” che in realtà ha causato un buco di 140 miliardi nei conti pubblici, togliendo risorse a sanità, istruzione e welfare”. Quale potrà essere il secondo step del taglio dell’Irpef? “Portare dei benefici fiscali anche al ceto medio, perché non si può pensare che chi ha 50mila euro lordi di reddito debba subire una tassazione che supera il 50%, tenendo conto anche delle addizionali regionali e comunali. Su questo aggiungo due riflessioni: qualcuno ci ha criticato proprio perché il ceto medio è stato escluso dalla prima revisione dell’Irpef e dal taglio del cuneo, ma con le risorse che avevamo a disposizione ci sembrava doveroso aiutare prima chi era più in difficoltà. Ad ogni modo, non lasceremo indietro nessuno. I contribuenti del “ceto medio” hanno gli stessi diritti di tutti gli altri, non possiamo demonizzarli solo perché guadagnano qualche migliaio di euro in più l’anno”. La Flat tax rimane nel vostro orizzonte di legislatura? “Sì, ma sempre compatibilmente con le risorse a disposizione. Ci aspettiamo un discreto aumento del gettito fiscale derivante sia dalle varie forme di collaborazione tra fisco e contribuente che abbiamo varato finora, sia dalla tassazione internazionale, attraverso la global minimum tax. E, infine, confidiamo anche in una crescita del Pil. Non facciamo stime per una questione di serietà, ma siamo fiduciosi che ci saranno nuove risorse per continuare sulla strada della riduzione delle imposte”. Un’ultima domanda: di recente ci sono state polemiche per la mancata proroga degli sgravi fiscali per i calciatori che arrivano in Italia dall’estero. C’è chi ha parlato addirittura di un danno per i vivai italiani… “È una questione delicata, che pone due temi: uno di ordine etico, l’altro di ordine politico. In un momento particolare, dove le famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese, era un po’ surreale concedere sgravi fiscali a chi guadagna milioni di euro l’anno. Siamo ben consapevoli delle difficoltà, sia di carattere sportivo che economico, che riguardano il mondo del calcio, un settore importante per l’immagine della nostra Nazione, ma estendere queste norme sarebbe stato incoerente con l’azione portata avanti finora dal governo. Abbiamo stabilito che fosse prioritario aiutare prima chi era rimasto indietro. È quello che stiamo facendo e che continueremo a fare”.