Roma, 9 ottobre 2023 – Le retribuzioni reali sono tornate sotto i livelli del 2009. Per la straordinaria crescita dei prezzi nel 2022 (+8,7% misurata sulla base dell’indice usato nella contrattazione collettiva), la differenza tra l'aumento dell'inflazione e quello delle retribuzioni contrattuali sull'intero periodo (2009-2023) è stato pari a 12 punti percentuali. Anche se la differenza di crescita tra salari e prezzi varia nei diversi settori: passa dai 4,1 punti per l'agricoltura e 4,7 punti per l'industria, dai 13,6 punti per i servizi privati ai 19,5 punti per la Pubblica amministrazione. A indicare, nero su bianco, la significativa perdita del potere d’acquisto dei salari sono i tecnici dell’Istat nell’audizione sulla Nadef in Parlamento. E sempre dagli esperti dell’Istituto di statistica arrivano altri dati che segnalano l’impennata dei prezzi di questi ultimi anni.
A settembre degli oltre 400 beni aggregati utilizzati dall'Istat per calcolare l'inflazione “oltre il 58% evidenzia un incremento dei prezzi, sulla media del 2019, uguale o superiore al 10%. Di questi, oltre la metà è rappresentato da generi alimentari”. Non basta. “Aumenti non inferiori al 25% si registrano per oltre il 17% degli aggregati, il 13% nel solo settore alimentare – spiega il presidente Francesco Maria Chelli – Per il 5,2% dei casi, gli aumenti di prezzi, nel periodo considerato, risultano superiori o pari al 40%. Il calo solo il 6,7% degli aggregati”. A determinare e incidere sul potere d’acquisto è anche il mancato o tardivo rinnovo dei contratti collettivi. “La tempestività dei rinnovi contrattuali continua a essere fortemente eterogenea nei diversi comparti. Nei primi otto mesi dell'anno 2023 si sono registrati complessivamente 10 rinnovi contrattuali e la quota dei dipendenti con il contratto scaduto è passata dal 58% di gennaio al 54% di agosto”. Meglio nel comparto industriale. “Nel comparto industriale – storicamente caratterizzato da un più regolare funzionamento della contrattazione nazionale – che garantisce una buona tempestività dei rinnovi, la quota dei dipendenti con il contratto scaduto, pur partendo da un livello già molto contenuto (a inizio anno era pari al 13%), è ulteriormente diminuita scendendo al 3,4% (circa 142 mila dipendenti)”.
Nel settore dei servizi privati, invece, "per effetto di una minore tempestività dei rinnovi contrattuali, la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo ad agosto 2023 è pari al 73,6% (era il 75,7% a inizio anno), per un totale di circa 3,7 milioni di dipendenti”. Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, poi, “la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo continua a essere pari al 100% (nel 2022 sono stati siglati - per il personale non dirigente - i rinnovi relativi al triennio 2019-2021, mentre per la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è chiusa la coda contrattuale del 2016-2018). Per il personale dirigente contrattualizzato, sempre con riferimento al triennio 2019-2021, sono state siglate le ipotesi di accordo per l'Area delle funzioni centrali (25 maggio 2023) e per l'Area della sanità (28 settembre 2023) in attesa di ratifica definitiva”. Il punto è che le prospettive non sono migliori del presente. “Gli indicatori congiunturali più recenti suggeriscono per i prossimi mesi il permanere della fase di debolezza dell'economia italiana – si spiega – Al netto dell'andamento dei fattori esogeni internazionali, elementi di freno alla crescita sono legati anche a condizioni di accesso al credito più rigide per famiglie e imprese e al lento recupero del potere d'acquisto delle famiglie”. C’è da sperare nel Pnrr. “Lo stimolo agli investimenti fornito dalle risorse del Pnrr dovrebbe manifestarsi più compiutamente a partire dal 2024; la realizzazione di investimenti pubblici e riforme previste dal Pnrr sarà oltremodo rilevante per il raggiungimento degli obiettivi di crescita previsti dal governo”.