Una situazione molto complicata, che però non tocca solo Stellantis, ma tutto il settore dell’automotive. Il crollo di Stellantis a Milano colpisce anche i titoli della galassia Exor (-4,15% ad Amsterdam). Iveco chiude in calo del 4,11%, Ferrari dell’1,2%, mentre Cnh a Wall Street viaggia con una flessione di oltre il 2%. Lo scossone di Stellantis si somma al caso di Aston Martin, che alla Borsa di Londra ha perso il 24,51%. Le revisioni delle stime si aggiungono a quelle effettuate di recente da concorrenti come Volkswagen, Mercedes e Bmw. Così i cali si sono estesi su tutti i principali titoli del settore compresi, oltre oceano, titoli di General Motors e Ford, in calo, rispettivamente, di circa il 4% e il 2%.
Lo scivolone dell’industra ha ridato fiato ai rumors su una possibile maxi-aggregazione dell’industria automobilistica europea, con la fusione fra Stellantis e Renault. Una sorta di alleanza sul modello di quella già sperimentata per l’Airbus. Il nuovo campione europeo metterebbe insieme ben 18 marchi: il quarto gruppo auto mondiale, creato dall’alleanza Psa-Fiat Chrysler è già considerato un gigante, apporterebbe 14 brand, tra i quali Fiat, Peugeot, Jeep e Citroën. Se Renault diventasse parte del nuovo polo aggiungerebbe 4 ulteriori brand.
Il principale sponsor della fusione tra Stellantis e Renault sembrerebbe il presidente francese Emmanuel Macron, dal momento che lo Stato è azionista di Renault con il 15% e di Stellantis con il 6,1%. Ma sarebbero tutte da verificare le ricadute del nuovo soggetto sugli stabilimenti italiani. Intanto, si vocifera anche che il favorito al vertice del nuovo colosso sarebbe l’attuale Ceo della Renault, Luca De Meo che prenderebbe il posto del numero uno di Stellantis, Tavares, alla fine del suo mandato, nel 2026. L’ipotesi di una fusione era stata, per la verità, smentita da Elkann qualche mese fa. Ma ora le cose stanno cambiando molto velocemente. E non è detto che i nuovi dazi decisi dall’Europa contro le auto cinesi o l’anticipo della revisione del Green deal, chiesta proprio dal governo italiano, siano sufficienti a invertire la rotta e salvare l’industria dell’auto del «vecchio continente» che vale 460 miliardi di euro e dà lavoro a 4milioni di persone. Cercasi un «nuovo» Marchionne disperatamente.