Mercoledì 13 Novembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

L’industria dell’auto in Italia, Bentivogli: "Troppi silenzi su Stellantis. Servono nuovi investimenti o perderemo il settore"

Parla lo storico leader delle tute blu Cisl: produciamo la metà dei veicoli della Slovacchia. "Un ingresso dello Stato? Il governo preferisce liberare dalle responsabilità le multinazionali"

Marco Bentivogli, a lungo numero uno delle tute blu della Cisl

Marco Bentivogli, a lungo numero uno delle tute blu della Cisl

Roma, 5 febbraio 2024 – Come valuta la mossa dell’ad di Stellantis, Carlo Tavares, che, in assenza di incentivi pubblici, ha minacciato tagli occupazionali a Mirafiori e Pomigliano?

"Lo scenario si è completamente ribaltato – esordisce Marco Bentivogli, a lungo numero uno delle tute blu della Cisl, protagonista di lunghe trattative con il Lingotto –. Quando Fiat acquisì Chrysler in Italia disse che sarebbe scomparsa. E quelli (opinionisti, politici, sindacalisti) che allora divennero star, schierandosi contro Marchionne, ora, con i francesi al comando, hanno messo il silenziatore esattamente come facevano con la vecchia Fiat".

Il silenzio su che cosa?

"Sul fatto che oggi in Italia si producono solo 521.842 auto. Eppure, lo scorso anno si è chiuso con 1.566.448 auto nuove immatricolate, +19% rispetto al 2022 ma -18% rispetto al 2019. L’Italia è all’ottavo posto per produzione di auto. Un terzo della Francia e metà della Spagna. Produciamo meno della metà di auto della Slovacchia (un Paese con 5 milioni di abitanti). La Volkswagen (in difficoltà) in dicembre ha superato per la prima volta dal 1928 la vendita di auto Fiat in Italia".

Che cosa deve fare il governo per evitare i ridimensionamenti?

"Una premessa. Dopo la morte di Marchionne nel 2019 (che puntava a una fusione con GM) Fca arrivò a un soffio dalla fusione con Renault (a mio avviso con minori sovrapposizioni, più avanti su elettrico e nel mercato asiatico) ma il governo di allora (il Conte bis) non seguì neanche la vicenda. Le Maire e Macron la fecero saltare ad accordo fatto (con la soddisfazione della Cgt, il sindacato di estrema sinistra francese). Dal successivo combination agreement con Psa, prolungato dal Covid, Fca arrivò, sempre più debole e nel disinteresse dei governi italiani, alla nascita di Stellantis nel 2021".

E oggi come siamo messi?

"Oggi la situazione è molto grave. E occorre fare sul serio. Il vantaggio di Psa erano le piattaforme modulari flessibili CMP con cui costruire oltre 5 modelli per impianto. È uno degli elementi utili ad ammortizzare i costi della transizione e lanciare nuovi modelli. In Italia non andavamo oltre i tre ma avevamo un sistema di organizzazione del lavoro e produzione più avanzato grazie alle linee evolutive del Wcm che rappresentarono la svolta di Fca. Invece di integrare i due punti di forza, i francesi hanno messo direttamente nei "cassoni" la chiave della produttività dei siti italiani centralizzando a Parigi tutta la ricerca, le strategie e le relazioni industriali".

Non a caso si torna a parlare di Renault.

"Certo. In queste ore in cui, con più evidenza, ci si accorge dell’invasione delle auto elettriche cinesi, tardivamente, il governo francese forse si sarà accorto della miopia nazionalista e dello scarso europeismo industriale che dimostrò nel 2019 e riapre alla necessità di ri-coinvolgere Renault".

Come giudica l’ipotesi di un ingresso dello Stato italiano nel capitale?

"La politica piuttosto che occuparsi seriamente di industria, come in Ilva preferisce liberare dalle responsabilità qualsiasi multinazionale (straniera o italiana) e mettere le mani al portafoglio. Abbiamo fatto gli accordi con Marchionne su un’ipotesi opposta. Salvare l’occupazione, rilanciare gli investimenti, riaprire gli stabilimenti sommersi di cassa integrazione. Prima di lui Fiat era dopata di finanziamenti pubblici. È evidente che c’è nostalgia di quel vecchio mondo: evidentemente non vedono l’ora di dare i soldi ai francesi o a Exor. Ci vogliono più di 4 miliardi. Serviva molto meno, bastava seguire l’unico modello di partecipazione pubblica che ha retto negli anni. Quello in STMicroeclettronics, peraltro un gruppo italo-francese".

Il ministro Urso è alla ricerca di un secondo produttore che investa in Italia: è un approccio utile?

"È sempre meglio avere più produttori nel Paese. Senza nuovi investimenti alternativi a Stellantis, con 500.000 auto prodotte rischiamo la scomparsa del settore. Una buona parte della componentistica è collegata alla Germania che è in crisi. Troppi governi hanno lasciato correre. Il governo in carica si dichiara "sovranista", ma al momento l’unico atteggiamento di protezione e promozione ha interessato i tassisti, i balneari, e forse gli allevatori. In Italia l’ecosistema dell’elettrico è ai blocchi di partenza, non produciamo batterie. Il paradosso è di rimanere schiacciati, come sanno in Svezia, tra una Tesla senza diritti sindacali e contrattuali, e un analogo atteggiamento dei costruttori cinesi come Byd (che non casualmente apre il primo sito europeo in Ungheria). Evidentemente non ci accontentiamo di perdere sul piano finanziario, tecnologico, e industriale".

Che cosa dovrebbero fare, invece, i sindacati?

"Il sindacato non è tutto uguale e non si è comportato allo stesso modo nel corso degli ultimi anni. Guardare al merito. Trovarsi d’accordo sul chiedere i soldi allo Stato non è difficile. Tavares dice che "costa troppo" produrre in Italia, ma non esplicita su cosa "eccediamo" rispetto per esempio ai francesi. Intanto la capitalizzazione del gruppo è a cifre record, oltre 61 miliardi di euro, il titolo in Borsa è cresciuto".