Roma, 7 settembre 2024 – Il capitolo previdenza della manovra non conterrà solo le novità e le conferme sui pensionamenti anticipati o sulla cosiddetta flessibilità in uscita, ma dovrà affrontare anche il nodo delle misure per favorire e incentivare la permanenza al lavoro di chi, una volta raggiunti i requisiti, volesse decidere di restare in attività. Un’operazione che passa innanzitutto per l’eliminazione dell’obbligo attualmente esistente per i dipendenti pubblici di dover andare in pensione d’ufficio a 65 anni, con 42 anni di servizio, o a 67 anni. Con il corollario dell’estensione anche al settore pubblico del bonus Maroni, con un incremento netto dello stipendio del 10 per cento circa, derivante dalla trasformazione in retribuzione dei contributi oggi a carico del lavoratore.
Si tratta, però, di un’ipotesi alla quale apre la Cisl, ma che non piace affatto a Cgil e Uil, pronte a sollevare la questione e a chiedere un chiarimento già il 24 settembre, in occasione dell’incontro con l’Aran sul rinnovo del contratto delle funzioni centrali (ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici). Ma, a spingere in questa direzione una serie di fattori sia demografici sia finanziari.
Sotto il primo profilo la Pubblica amministrazione e le forze armate e di polizia rischiano un esodo biblico negli anni a venire, con la possibile uscita di circa 773mila lavoratori entro cinque anni. Senza considerare l’impoverimento professionale che una simile fuga di massa comporterebbe. In pratica, secondo le previsioni aggiornate del Rapporto Excelsior, saranno necessarie oltre 169mila entrate l’anno per la stragrande maggioranza di persone con una istruzione terziaria. Sotto il secondo aspetto, la stabilità del sistema previdenziale richiede che restino a lavoro più persone possibili.
Ebbene, di fronte alle difficoltà nelle quali si potrebbe trovare l’amministrazione, soprattutto per quanto riguarda l’erogazione dei servizi, il governo starebbe appunto ipotizzando una norma per consentire la permanenza al lavoro dopo i 67 anni in modo sostanzialmente automatico, senza quindi che sia necessaria la richiesta del lavoratore all’amministrazione sul trattenimento in servizio una volta raggiunta la soglia anagrafica. L’amministrazione, con questa ipotesi, non potrebbe respingere la richiesta come può avvenire ora. Chi invece vuole andare in pensione all’età prevista dalla legge potrà continuare a farlo facendo domanda (senza che possa essere respinta), ma l’uscita non sarà più automatica come oggi.
La norma potrebbe essere inserita dal governo nella legge di Bilancio oppure in un provvedimento a parte. Nel pubblico, comunque, con l’età di vecchiaia escono verso la pensione circa la metà di quelli che vanno in anticipata (prima dell’età di vecchiaia con le Quote o con 42 anni e 10 mesi di contributi). Nel 2023 le pensioni di vecchiaia nel pubblico decorrenti nell’anno, infatti, sono state circa 28mila a fronte delle circa 57mila anticipate).