Venerdì 10 Gennaio 2025
ANTONIO PETRUCCI
Economia

Smartphone, il 29% non sa formattarli prima di venderli

Un quarto degli adulti cambia dispositivo durante le festività

Tre persone su 10 non sanno formattare il cellulare prima di venderlo o rottamarlo

Tre persone su 10 non sanno formattare il cellulare prima di venderlo o rottamarlo

Roma, 13 gennaio 2025 – Con gli attuali smartphone è possibile ormai fare qualsiasi cosa, alla stregua di un personal computer. E proprio come un pc, gli smartphone contengono così tanti dati personali, e informazioni sensibili, che prima di venderlo o rottamarlo è una prassi assolutamente indispensabile quella di formattarli, riportandoli ai dati di fabbrica. Eppure, nonostante sia una procedura guidata automatica, non tutti gli utenti riescono a farla in autonomia, e alcuni vendono addirittura il proprio smartphone senza prima rimuovere app e dati personali memorizzati.

I dati dell’indagine Savanta

L’Information Commissioner’s Office del Regno Unito ha appurato che il 29% degli utenti, al momento di vendere o rottamare il proprio smartphone, non è in grado di farlo. Secondo l’indagine, condotta dall’istituto Savanta su 2170 utenti, il 29% non sa eliminare i dati; il 71% ritiene importante farlo ma circa un quarto reputa la procedura troppo complicata. Il 21% non ritiene importante eliminare i dati e cambia molto anche la percezione del pericolo che può avere, vendere cellulari con dati personali, in base all’età. Infatti, il 14% degli utenti fra i 18 e i 34 anni non si preoccupa di cosa accadrà alle proprie informazioni, percentuale che scende al 4% fra gli utenti con più di 55 anni. In generale, la maggior parte degli intervistati, l'84%, ritiene importante eliminare i dati sensibili. Tale problema si presenta soprattutto durante le festività natalizie, quando un inglese su quattro sceglie di cambiare il proprio dispositivo, o ne riceve uno nuovo in dono.

In crescita il commercio degli smartphone usati

Anche in Italia è sempre più diffusa la pratica di acquistare smartphone usati, o comunque ricondizionati. In questi casi, la formattazione non solo rende liberi i dispositivi di accogliere nuovi dati, ma limita anche il rischio di malfunzionamenti. Per quanto riguarda le aziende, secondo una ricerca di Eset, il 56% dei router usati hanno al loro interno dati dei precedenti proprietari, che potrebbero essere recuperati e usati anche per fini non legali, a danno delle aziende che li utilizzavano prima. Anche un sondaggio di Federprivacy ha evidenziato che l’89% degli addetti ai lavori non adotta tutte le precauzioni prima di dismettere i devices aziendali.

Il pensiero di Nicola Bernardi

"Molti non sono ancora pienamente consapevoli dei rischi che si corrono lasciando imprudentemente i propri dati personali su un telefono o qualsiasi altro nostro dispositivo elettronico che mettiamo in vendita online. È quindi fondamentale – ha affermato il presidente di Federprivacy – che prima di consegnare l’apparecchio all’acquirente rimuoviamo ogni traccia delle informazioni che ci riguardano adottando delle precauzioni di base per evitare di correre il pericolo di incappare in un malintenzionato, o semplicemente un curioso, a cui potremmo consentire inavvertitamente di intromettersi nella nostra vita privata accedendo ai nostri account, ai nostri profili social, messagistica, immagini, e in certi casi anche ai nostri conti bancari”.

I dati dell’indagine Eset

Un’indagine di Eset ha analizzato 18 router acquistati di seconda mano, scoprendo che nel 56% dei casi essi contenevano informazioni dei precedenti proprietari, dunque dati riservati che avrebbero permesso a dei malintenzionati di connettersi alle reti aziendali. Da un sondaggio condotto dall’Osservatorio di Federprivacy, è emerso che su 500 addetti ai lavori che vi hanno partecipato, solo il 7% effettua la procedura cosiddetta di "sanitizzazione" del device aziendale in dismissione, mentre il 4% cancella manualmente i dati. Invece, l’89% formatta il dispositivo elettronico senza adottare tutte le precauzioni necessarie, il che fra l’altro viola l’art. 24 del Gdpr, esponendo l’azienda alle sanzioni previste dal Garante della privacy, e lasciando agli hacker la possibilità di procurarsi illeciti profitti e di danneggiare le aziende.