Roma, 27 gennaio 2025 – Per la rubrica “Facciamo due conti”, questo mese mettiamo sotto la lente d’ingrandimento il mondo del lavoro. L’approfondimento, curato da Isnec, l'Istituto nazionale esperti contabili, e arricchito dalle infografiche interattive di Withub, analizza le novità introdotte dalla legge di bilancio 2025. Si parlerà di buste paga, nuove misure per i lavoratori e norme sui licenziamenti, per fare chiarezza su temi che toccano da vicino milioni di italiani.
Come cambia il netto in busta paga
Con il 2025 arrivano una serie di modifiche e conferme in materia di fiscalità e retribuzione, con particolare attenzione alla riduzione del cuneo fiscale e alle misure di sostegno per i lavoratori dipendenti. Le nuove norme, contenute nella legge di bilancio, puntano a rendere strutturali alcune agevolazioni introdotte negli anni precedenti.
“La nuova manovra stabilizza la riduzione da quattro a tre aliquote Irpef. Inoltre – spiega Maria Vittoria Tonelli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – le detrazioni per reddito da lavoro dipendente aumentano da 1.880 a 1.955 euro per i redditi fino a 15mila euro”.
Per i redditi di lavoro dipendente non superiori a 20mila euro, la legge di bilancio prevede un’indennità aggiuntiva calcolata in base al reddito:
- 7,1% per redditi fino a 8.500 euro
- 5,3% per redditi da 8.501 a 15mila euro
- 4,8% per redditi da 15.001 a 20mila euro.
Per i lavoratori con redditi superiori a 20mila euro, viene introdotta una detrazione aggiuntiva di 1.000 euro per redditi fino a 32mila euro e un importo calcolato in modo decrescente per redditi tra 32.001 e 40mila euro.
“Dal 2025, inoltre, viene reso strutturale l’esonero parziale della contribuzione Ivs a favore delle lavoratrici madri di almeno due figli, esteso anche alle lavoratrici autonome non in regime forfettario. L’esonero – conclude Tonelli – sarà applicabile fino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo e, dal 2027, per le madri con tre o più figli, fino al compimento del diciottesimo anno di età del più giovane”.
Deducibilità delle spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto
Dal 2025 le spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto sostenute dal lavoratore saranno deducibili solo se effettuate con strumenti di pagamento tracciabili.
“La norma interviene con modifiche al Tuir, cioè il Testo unico delle imposte sui redditi – spiega Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – stabilendo che le spese sostenute per vitto, alloggio, viaggio e trasporto saranno deducibili solo se effettuate con strumenti di pagamento tracciabili, quali bonifici bancari o postali, carte di debito, di credito, prepagate, assegni bancari e circolari”. Rientrano nei nuovi obblighi di tracciabilità anche le spese di rappresentanza, che mantengono i limiti di deducibilità già previsti.
“La manovra modifica anche l’articolo 54 del Tuir, relativo al reddito di lavoro autonomo. Dal 2025, la deducibilità delle spese sostenute per vitto, alloggio, viaggio e trasporto, incluse quelle analiticamente riaddebitate ai clienti – prosegue Buselli – sarà subordinata all’uso di pagamenti tracciabili”.
Le modifiche coinvolgono anche i lavoratori dipendenti, per i quali le spese sostenute per vitto, alloggio, viaggio e trasporto non concorreranno a formare reddito imponibile solo se sostenute tramite pagamenti tracciabili. Anche le imprese, dal 2025, dovranno garantire pagamenti tracciabili per le spese di trasferta dei dipendenti e per i compensi corrisposti ai lavoratori autonomi. Senza questa condizione, le spese non saranno deducibili.
Permessi 104: non si può limitare la durata del beneficio
L'Inps non può limitare a priori la durata dei permessi ex legge 104/1992, ma può verificare periodicamente la permanenza dei requisiti.
Il diritto a usufruire dei permessi previsti dalla 104 si acquisisce con la presentazione della domanda amministrativa e dura fino a un’eventuale modifica delle condizioni richieste dalla normativa. A ricordarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza 30628 del 2024, che riguarda un provvedimento di ripetizione messo in atto da un datore di lavoro per il recupero di somme indebitamente corrisposte come permessi retribuiti.
“I Supremi Giudici hanno accolto il ricorso del lavoratore, precisando che per le prestazioni previdenziali non è necessaria la compilazione formale di moduli o l’uso di formule specifiche. È sufficiente – evidenzia Alfredo Accolla, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – che la domanda consenta di individuare chiaramente la prestazione richiesta. Inoltre, la domanda ha efficacia sostanziale dalla data di presentazione e produce effetti dal momento in cui l’ente destinatario ne prende conoscenza”.
Lavoro domenicale: maggiorazione del 30%
La sentenza 31711/2024 della Corte di Cassazione ha fissato un importante principio in materia di tutela dei lavoratori: chi presta attività lavorativa di domenica ha diritto al riconoscimento della particolare gravosità della prestazione, anche in presenza di un riposo compensativo in un altro giorno della settimana. In primo grado, il Tribunale aveva riconosciuto al lavoratore una maggiorazione del 30% sulla retribuzione oraria per le ore lavorate la domenica, a partire dalla data di assunzione fino alla cessazione del rapporto.
“La Corte d’appello aveva poi parzialmente modificato la sentenza di primo grado, prevedendo ulteriori compensi. Decisione contestata dalla società datrice di lavoro che ha presentato ricorso contro la sentenza d’appello. La Corte di Cassazione – spiega Maria Vittoria Tonelli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – ha rigettato il ricorso, ribadendo che il lavoro domenicale, anche compensato con un giorno di riposo infrasettimanale, richiede un riconoscimento aggiuntivo”.
“I Supremi Giudici hanno precisato che, se non previsto dalla contrattazione collettiva, il compenso per il lavoro domenicale può essere stabilito dal giudice, includendo anche benefici non economici, che è legittima la presunzione del disagio del lavoro domenicale basata su un’esperienza sociale consolidata e che – prosegue Tonelli – le maggiorazioni riconosciute per lavoro domenicale, notturno e festivo devono essere incluse nel calcolo del Tfr e delle mensilità supplementari”.
L’indennità di disoccupazione compatibile con il PrestO
Il sistema PrestO, gestito tramite l’Inps, rappresenta una soluzione per l’utilizzo di prestazioni occasionali da parte di professionisti e imprese, tra cui lavoratori autonomi, imprenditori, associazioni, fondazioni e altri enti privati.
“Le prestazioni occasionali PrestO si distinguono nettamente dalle quelle autonome di lavoro occasionale regolate dall’articolo 2222 del Codice civile. Ad esempio – evidenzia Alfredo Accolla, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – a differenza delle prestazioni autonome, prevedono coordinamento e subordinazione del prestatore al datore di lavoro e sono soggette a limiti economici che, se superati, comportano sanzioni amministrative e la trasformazione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato”. Inoltre, sono gestite tramite l’Inps, mentre il lavoro autonomo occasionale è regolato da un accordo individuale. I compensi percepiti attraverso il PrestO sono esenti da imposizione fiscale e non influiscono sullo stato di disoccupazione del lavoratore.
No ai permessi sindacali per fini personali
L’ordinanza 29135/2024 della Corte di Cassazione ha ribadito l’illegittimità dell’utilizzo dei permessi sindacali per finalità personali o familiari. “L’utilizzo improprio dei permessi sindacali retribuiti rappresenta una violazione grave – sottolinea Felice Colonna – poiché mette in discussione la fiducia reciproca tra datore e lavoratore”.
“Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Napoli aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa di una lavoratrice, poiché il datore di lavoro non aveva formulato alcuna preventiva contestazione disciplinare. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso – evidenzia Alfredo Accolla, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – confermando che la mancata preventiva contestazione dell’addebito comporta l’inesistenza del procedimento disciplinare, eliminando ogni giustificazione alla base del licenziamento”.
“Tale mancanza - conclude Accolla - si configura come un difetto assoluto che ricade nel campo di applicazione del comma 4 dell'articolo 18, poiché il ‘fatto contestato’ risulta giuridicamente inesistente”.
Fraintendimento sulla durata delle ferie, è illegittimo il licenziamento
L’ordinanza 30612/2024 della Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore assente per due settimane di ferie, a seguito di un fraintendimento con il datore di lavoro. La decisione conferma la tutela del dipendente attraverso un’indennità risarcitoria, escludendo la reintegra.
“Nel caso in esame, il lavoratore aveva richiesto due settimane di ferie, dapprima negate per iscritto dal datore di lavoro e poi concesse verbalmente solo per una settimana. A causa di una controversa interpretazione dell’accordo però – sostiene Rosa Santoriello, consigliera d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – il dipendente si era assentato per entrambe le settimane richieste”. La Corte d’Appello aveva già dichiarato illegittimo il licenziamento, giudicandolo sproporzionato rispetto al fatto contestato. Il datore di lavoro ha impugnato la sentenza, sostenendo che il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato in azienda prevedeva il licenziamento per assenze ingiustificate superiori a quattro giorni consecutivi.
“I Supremi Giudici – prosegue Santoriello – hanno respinto il ricorso affermando che la valutazione sulle proporzionalità della sanzione disciplinare spetta al giudice di merito e che la Cassazione può rivedere il giudizio solo in presenza di vizi logici o giuridici evidenti”.
Inoltre, secondo la Cassazione, il giudizio sulla gravità dell’infrazione deve tener conto del contesto lavorativo, del grado di affidabilità richiesto per le mansioni svolte e delle circostanze specifiche. Inoltre, è fondamentale valutare l’intenzionalità o la colpa nella condotta del lavoratore.