Giovedì 14 Novembre 2024
ELENA COMELLI
Economia

Siccità, danni economici, rubinetti chiusi e lo spettro delle guerre per l'acqua

La carenza di precipitazioni e le temperature sempre più elevate causano danni per miliardi di euro

E' quasi primavera e la neve dovrebbe cominciare a sciogliersi, alleviando la siccità che attanaglia anche quest'anno i fiumi e laghi della penisola. Ma quale neve? Da uno studio di Fondazione Cima - Centro Internazionale di Monitoraggio Ambientale, sulle montagne italiane c'è appena un terzo della neve rispetto alle medie degli ultimi 12 anni, malgrado le recenti nevicate. Di conseguenza, andiamo verso un'estate da incubo, peggiore di quella dell'anno scorso, che pure ha causato 6 miliardi di danni all'agricoltura italiana e un forte aumento dei prezzi all'origine.

siccità
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“All'inizio di marzo si raggiunge il massimo dell'accumulo e sulle montagne italiane di solito sono immagazzinati 10-13 miliardi di metri cubi d’acqua sotto forma di neve, ma quest’anno siamo a meno di 4 miliardi. Ne manca il 63% rispetto alle medie stagionali, una situazione peggiore rispetto allo scorso anno, quando nello stesso momento ne avevamo 6 miliardi”, spiega Luca Ferraris, presidente della Fondazione.

“In pratica, i nostri principali serbatoi sono quasi vuoti, proprio alla vigilia della stagione in cui l'acqua serve di più. Mi chiedo perché il rischio di restare a corto di gas abbia destato tanto allarme in autunno, mentre il rischio di restare senz'acqua, che ormai è una certezza, desti così poca preoccupazione”, commenta Ferraris.

L'emergenza idrica è ancora più preoccupante considerando il fatto che si aggrava di anno in anno. “Siamo in una tempesta perfetta: abbiamo sempre meno acqua a fronte di temperature sempre più elevate che ne richiederanno ancora di più. E' chiaro che la crisi è destinata ad aggravarsi nei Paesi del Mediterraneo, definito un hot spot dell'emergenza climatica negli studi dell'Ipcc”, precisa Ferraris, che sollecita una presa di coscienza e l'impostazione di una strategia di adattamento al clima che cambia rapidamente.

“Un anno caldo e secco come il 2022, ad esempio, ha visto il 50% in meno di neve, ma quasi il 50% in più di fabbisogno idrico per l'irrigazione”, aggiunge. I danni non sono solo per l'agricoltura, ma anche per la produzione elettrica: nel 2022 l'idroelettrico ha prodotto oltre un terzo di meno rispetto all'anno precedente. La semplice riduzione degli sprechi nel servizio idrico - misura certamente necessaria, su cui si concentrano i 4 miliardi di euro stanziati nel Pnrr - non può bastare, considerando che il settore agricolo è da sempre il primo consumatore di acqua, con oltre il 50% dei prelievi, e l’industria incide per un altro 10-15% sul fabbisogno idrico nazionale, mentre gli usi civili contano per meno di un terzo. Una strategia complessiva dovrebbe comprendere anche agli altri usi, agricoli e produttivi.

“La crisi non dipende soltanto dalle minori precipitazioni, ma anche dalle temperature sempre più alte”, spiega Francesco Avanzi, ricercatore Cima e idrologo specializzato nella neve. “Le nevicate che sono cadute in gennaio e febbraio si sono sciolte subito, esaurendo circa un terzo delle risorse idriche presenti sul terreno”, precisa Avanzi. La grave carenza di neve colpisce tutte le montagne italiane, dalle Alpi agli Appennini, ma in particolare i bacini del Po e dell'Adige, i due grandi fiumi che alimentano la Pianura Padana, colpiti ad oggi da un deficit del 66% e del 73%, anche maggiore rispetto al quadro nazionale. “Con gli strumenti modellistici che abbiamo sviluppato nell'ultimo decennio siamo in grado di misurare con precisione non solo l'estensione, ma anche il contenuto idrico della neve rimasta sul terreno”, sottolinea Avanzi.

La correlazione è chiara: temperature più alte corrispondono ad una fusione più rapida e quindi a meno neve, un ciclo che negli anni sta accelerando, con ricadute importanti anche sullo scioglimento dei ghiacciai. “La neve ha due effetti benefici per i ghiacciai: quella che sopravvive all'inverno ad alte quote va ad alimentare la parte di accumulo e quindi crea nuovo ghiacciaio, mentre la parte che resta a quote più basse fa da 'coperta' e protegge il ghiacciaio, ritardandone la fusione. Ora questi due effetti stanno venendo meno, con il risultato di anticipare ogni anno di più l'inizio della stagione della fusione e renderla sempre più rapida”, precisa Avanzi.

L'anno scorso, ad esempio, i ghiacciai alpini hanno cominciato a fondersi già in maggio, molte settimane prima del solito. “E' un'altra delle nostre riserve strategiche che si sta esaurendo e questo renderà sempre più difficile superare lunghi periodi di siccità”, commenta.

Il dramma dei ghiacciai che si sciolgono e delle Alpi sempre più secche colpisce anche altri Paesi europei, non solo l'Italia, e alla lunga porterà a dei conflitti anche nel Vecchio Continente. “Ci sono bacini transfrontalieri, soprattutto fra i Paesi alpini, dove la gestione è frutto di accordi storici maturati nei secoli: è ovvio che tutti questi equilibri andranno rinegoziati alla luce della crisi climatica”, ragiona Avanzi. Il primo esempio di un conflitto è emerso in Liguria, dove la provincia di Imperia è alimentata dal bacino del Roia, che nasce in territorio francese: con la crisi idrica i prelievi dei francesi mandano in crisi Ventimiglia e c'è già chi ha alzato la voce.