Lavorare meno significa davvero lavorare meglio? In Italia, da un po' di tempo, si è aperto il dibattito sulla settimana lavorativa corta, di soli quattro giorni, anziché cinque. Un tipo di contratto diffuso in diversi paesi europei, dalla Francia, alla Norvegia, alla Svizzera, quasi inesistente nello stivale, anche se qualche grossa azienda sta iniziando ad adottarlo.
Una di queste è il gruppo Lavazza che, nell'integrativo 2023-2025 prevede, tra le altre cose, il venerdì breve: i collaboratori beneficiano dell'uscita anticipata il venerdì utilizzando parte dei riposi individuali previsti dal contratto nazionale, per un periodo di quindici settimane, da maggio a settembre. La settimana corta è stata adottata anche da Intesa Sanpaolo, gruppo bancario con 74mila dipendenti in Italia. Il nuovo modello organizzativo introdotto a gennaio 2023 prevede la settimana di quattro giorni e 9 ore lavorative, a parità di retribuzione e, ovviamente, su base volontaria. Per i lavoratori e soprattutto per le mamme lavoratrici è sicuramente un vantaggio: consente infatti di conciliare meglio vita privata e professionale. Ma per i datori di lavoro? In generale, un dipendente che sta bene nel contesto lavorativo è anche più produttivo. Ma dal punto di vista della retribuzione, è uguale o ridotta? E la giornata lavorativa si allungherebbe a dieci ore?
Cosa ne pensano i direttori del personale
La settimana corta, secondo i direttori del personale, presenta vantaggi e svantaggi. A spiegarli è Matilde Mirandola, presidente nazionale Aidp, l'associazione italiana per la direzione del personale. “Il tema dell’introduzione della settimana corta evidenzia, ad oggi, luci ed ombre. Se da un lato le ricadute positive sui lavoratori in termini di migliore equilibrio e qualità del rapporto vita-lavoro sarebbero evidenti, oltre all’impatto che questo avrebbe in termini di maggiore produttività, dall’altro gli aspetti di natura retributiva e organizzativa che tale soluzione comporta sono ancora da valutare”. “Quindi, anche se culturalmente siamo favorevoli nei confronti della settimana corta – aggiunge Mirandola - è sempre importante comprendere e ascoltare le situazioni delle singole aziende e delle singole persone. Una decisione standard e uguale per tutti potrebbe avere ricadute negative sulla motivazione, sulla retention (cioè sulle capacità dell’azienda di mantenere e gestire i dipendenti) e sull’economia. Per queste ragioni la via della sperimentazione è quella maestra per verificare e testare la reale e virtuosa fattibilità dell’introduzione a regime della cosiddetta settimana corta. Soluzione alla quale anche l’Aidp guarda con equilibrio e interesse visto il grande impatto sociale e economico che avrebbe”.
Un manager su due favorevole alla settimana corta
Secondo un'indagine svolta da Aidp su mille direttori del personale, il 53% si esprime favorevolmente alla settimana corta, il 40% è parzialmente d'accordo con la sua introduzione, il 6% non è favorevole. In termini di miglioramento della conciliazione vita-lavoro, la settimana corta è senz'altro un vantaggio (lo dicono il 79% degli intervistati). Ridurre le giornate lavorative da cinque a quattro, inoltre, aumenta il benessere psico-fisico dei dipendenti (così si esprime il 49% degli intervistati) e la loro motivazione al lavoro (27%). Ci sono però delle criticità e sono soprattutto la necessità di definire, come accaduto per lo smart working, una misura della produttività basata sulle performance, con linee guida definite dalla contrattazione nazionale. Serve inoltre valutare preliminarmente la sostenibilità economica per l'azienda di questo contratto a quattro giorni e le eventuali difficoltà a livello di implementazione organizzativa. Questi ultimi aspetti sono quelli che hanno messo in evidenza chi, tra i direttori del personale intervistati, si è detto contrario alla settimana corta, insieme al fatto che comunque ciò implicherebbe per i lavoratori un orario giornaliero di nove, se non addirittura dieci, ore.
Come introdurre in azienda la settimana corta
Sempre secondo l'indagine Aidp, risulta che il 62% dei direttori del personale inizierebbe a introdurre la settimana corta nella propria azienda con delle soluzioni sperimentali. Inoltre, è importante contrattare con la parte sindacale per trovare delle linee guide di applicazione. In dettaglio: per il 33% attraverso una contrattazione a livello aziendale e per il 24% riportando la questione anche a livello di contrattazione nazionale. Rispetto al tema del salario, il 26% circa manterrebbe lo stesso salario ma riducendo i giorni, mentre circa l’8% ridurrebbe parzialmente lo stipendio in proporzione alle giornate lavorate. Il 20%, infine, manterrebbe lo stesso numero di ore contrattuali, ma riducendo i giorni.