Roma, 21 marzo 2024 – Una promozione al lavoro o guardare negli occhi tuo figlio che per la prima volta ti chiama ‘papà’. Cosa vale di più? In un mondo nel quale l’attenzione agli stereotipi di genere è (giustamente) sempre più alta, serve fare in fretta ulteriori passi avanti, partendo dall’aspetto che il ruolo del genitore che trascorre più tempo a casa insieme ai figli rinunciando, in tutto o in parte, al proprio impiego piuttosto che alle prospettive di carriera, merita di essere equamente diviso tra uomo e donna. Ci siamo vicini? Assolutamente no, ma se non altro la strada intrapresa pare essere quella giusta, sulla spinta in primis delle nuove generazioni, che vivono il concetto di famiglia e di divisione dei compiti in maniera radicalmente diversa rispetto ai decenni passati. Nel 2016, otto anni fa, erano stati individuati 200.000 padri che avevano deciso di dedicare il loro tempo alla cura della casa e dei figli e da allora il numero è certamente aumentato.
Serve però realismo, come quello che ha fatto da bussola allo studio ‘La partecipazione dei padri nei primi 1000 giorni’ realizzato nell’ambito di ‘4-E-parent’, un progetto europeo che si prefigge di promuovere il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli fin dai primi mesi della loro vita e che è stato ripreso da un’analisi del Sole 24 Ore.
Analisi europea
L’intento del progetto è quello di favorire la partecipazione dei padri in modo paritetico, pratico, attivo ed empatico, con l’obiettivo dichiarato di prevenire la violenza contro le donne. L’analisi è stata effettuata nel 2023 e riconosce una significativa maggiore presenza del genitore maschio per ciò che riguarda la cresciuta e la cura dei figli. Le ragioni sono varie e partono dal più che legittimo punto di vista del neo papà: “Resto a casa con mio figlio, perché lo voglio io”. Sono poi citate anche le richieste avanzate dalle madri e le necessità pratiche, legate spesso al fatto che entrambi i genitori lavorano e dunque è necessario che la divisione dei ‘compiti domestici’ venga effettuata nel modo più equilibrato possibile.
Le criticità
Non è però tutto rose e fiori. Anzi. Serve partire dal fatto che in Italia diventare genitori è molto più complicato rispetto a quanto accade nella maggior parte dei Paesi d’Europa, dove gli aiuti riconosciuti alle famiglie sono decisamente più significativi. E in effetti questo tema è costantemente citato trai i primi posti delle ragioni che stanno caratterizzando il crollo delle nascite nel Belpaese. A questo aspetto è strettamente legata la questione del divario di genere: quando uno dei due genitori è giocoforza costretto a restare a casa per prendersi cura del figlio, resta ampiamente maggioritaria la quota delle donne che compiono un passo indietro dal posto di lavoro. I base all’ultimo rapporto Istat disponibile sui ‘Tempi della vita quotidiana’ che risale al 2019, le donne italiane risultano le più impegnate a livello europeo nel lavoro non retribuito, quello che riguarda cioè la cura della casa e dei figli, al quale dedicano mediamente cinque ore al giorno, contro le due degli uomini.
Le dimissioni dal lavoro
Il riferimento più indicativo alle scelte lavorative di mamme e papà riguarda la prima fase della vita dei figli. In base ai dati relativi al 2022, le dimissioni presentate da uno dei genitori nei primi tre anni di vita del figli sono state 61.391, con una crescita di oltre il 17% rispetto al 2021. Questa statistica riguarda per quasi tre casi su quattro le donne e viene motivata appunto con la difficoltà a conciliare la vita familiare col lavoro. La controprova arriva dal fatto che il 63% delle neo mamme cita questo aspetto come principale ragione che ha portato alla firma della lettera di dimissioni, mentre per quanto riguarda i papà la percentuale crolla al 7%. In Italia, una donna su cinque lascia il lavoro alla nascita del primo figlio.
Divario di retribuzioni
Il circolo purtroppo è vizioso e analizzare le ragioni alla base di queste scelte non può essere semplicemente legato allo stereotipo che vede la donna come ‘angelo del focolare’. Molto spesso in effetti le questioni sono più pragmatiche: davanti a un peso retributivo diverso delle due buste paga, a fine mese, con la calcolatrice in mano e i conti da far quadrare, la scelta di fatto non è una scelta, ma un obbligo: se qualcuno deve restare a casa, è meglio che al lavoro vada chi percepisce un reddito più alto. Magari cercando pure di aumentare i turni e sommare straordinari per veder crescere i compensi. In quest’ottica sempre più padri vivono la situazione tutt’altro che come un privilegio, quanto piuttosto come un sacrificio da compiere per il bene della famiglia e dei figli. Tutti aspetti che spingono il dibattito politico e sociale verso il nocciolo della questione: la parità di genere in ambito lavorativo deve essere affrontata coi fatti. E risolta. In tutto il mondo e di certo anche in Italia.