Roma, 28 dicembre 2023 – Semi antichi e passione. Questa storia di agricoltura sostenibile parte da un piccolissimo borgo sull’Appennino bolognese, La Spinareccia a Rasora di Castiglione dei Pepoli (Bologna), arriva al deposito dell’Università di Pavia e guarda alla banca mondiale, nell’Artico. Il mais rosso di Rasora è tra gli ultimi semi antichi certificati nel progetto Ricolma della Regione Emilia Romagna.
“Questo è un po’ il mio lavoro, salvare le varietà”, premette Graziano Rossi, professore del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente all’Università di Pavia. Insegna botanica ed è presidente del nuovo corso di laurea magistrale in Agri-Food Sustainability. Il suo lavoro scientifico ha supportato un progetto nato dalla passione dei coltivatori, Pierluigi Poli che ha salvato quel seme e Caterina Morganti che ha creduto da subito nell’idea.
Professore, che ricadute ha quest’ultimo riconoscimento?
“Ricolma è un progetto di ricerca. Il mais rosso di Rasora è stato riconosciuto nel repertorio della biodiversità della Regione Emilia-Romagna, tra le varietà a rischio di estinzione o di erosione genetica. Quindi finalmente esiste, per legge. In un elenco che oggi ha una visibilità, un’identità a livello regionale, a breve anche a livello nazionale. In altre parole, quel mais è uscito dall’anonimato”.
Come vengono conservati i mais antichi?
“Intanto vengono salvaguardati con un deposito nella ’banca’ della nostra università, a Pavia. Abbiamo migliaia di semi che possono servire in caso di necessità”.
In caso di necessità prefigura uno scenario apocalittico?
“Si deve mettere in conto anche quello. Ad esempio in Siria, ad Aleppo, è andata distrutta una collezione poi ricostruita grazie ai duplicati, conservati nella banca mondiale delle isole Svalbard, nell’Artico. Ma in questo caso mi riferivo a cose più tranquille. Dico ‘in caso di necessità’ perché ci possono essere agricoltori che desiderano riprendere a coltivare quel seme e quindi si iscrivono a questa rete di coltivatori custodi”.
Seme antico: qual è la definizione scientifica?
“Antico di per sé non vuol dire nulla. Diciamo così: dovrebbe essere una varietà con una storia di almeno cinquant’anni. Nel caso del mais rosso di Rasora abbiamo trovato testimonianze che ci riportano a 100 anni fa”.
Quindi per ogni varietà recuperata si fa una vera e propria inchiesta?
“Sì, con interviste scritte. In questo caso abbiamo trovato testimoni ultranovantenni, hanno dichiarato di averlo sempre coltivato. Intervistiamo le persone in modo da bloccarne la conoscenza. Così archiviamo i semi e anche le informazioni che sono legate a quella varietà. Chiediamo ad esempio se era di famiglia, se lo hanno mai mescolato e come lo coltivavano”.
Quanti sono i semi antichi di mais in Italia?
“Sicuramente nel dopoguerra esistevano più di 800 varietà diverse, oggi sono rimaste pochissime. In Emilia-Romagna questo è il terzo caso di riconoscimento. Mio padre, che era di origine contadina, diceva che ogni famiglia aveva il suo mais”.
Come viene conservato nella banca?
“I semi vengono disidrati e congelati, così possono sopravvivere 250 anni”.
Alla fine professore, qual è il bilanciamento giusto tra una produzione di nicchia e di qualità ma anche la necessità di diffondere questa cultura?
“Sicuramente questi prodotti devono rimanere a km zero, le produzioni devono essere limitate. E ci sono verifiche rigorose da fare sulle micro tossine, perché queste varietà antiche richiedono più attenzione di quelle moderne. Ma una cosa è certa: il sapore è superiore“.