Roma, 16 novembre 2023 – Pietro Ichino è tra i più autorevoli giuslavoristi italiani, ma anche ex parlamentare Pd. Cosa pensa dello sciopero generale di venerdì 17 novembre?
Professor Ichino, che idea si è fatto dello scontro fra il ministro Salvini e i vertici di Cgil e Uil sullo sciopero generale proclamato per venerdì?
"L’aspetto curioso della vicenda è che nelle settimane passate Salvini si è battuto per modifiche di questa Finanziaria che vanno sostanzialmente nella stessa direzione delle richieste di Cgil e Uil: superamento della riforma Fornero delle pensioni, nel senso di un ritorno all’indietro, aumento a manetta della spesa corrente, aumento del debito pubblico e conseguente scontro con Bruxelles".
Però adesso abbiamo assistito a un’aspra contesa sulle modalità dello sciopero.
"In realtà questo scontro serve a entrambi, per riprendersi la scena: Salvini in seno alla maggioranza, Landini come vero leader dell’opposizione".
Passando all’aspetto tecnico-istituzionale, come valuta la decisione del ministro di ridurre lo sciopero dei trasporti precettando i lavoratori?
"Il ministro ha il potere di farlo. E l’Autorità garante gliene ha offerto un buon motivo, negando che quello di domani possa considerarsi sciopero generale".
La delibera dell’Autorità è stata giuridicamente corretta?
"La delibera si fonda su un precedente del 2003, la delibera 03/134, in tema di sciopero generale, che è sempre stata applicata pacificamente. La questione delicata, e molto opinabile, è se quello di domani possa considerarsi generale o no. A me sembra che possa esserlo per il Centro, dove riguarderà quasi tutti i settori, non per il Nord e il Sud, dove è limitato ad amministrazioni pubbliche e trasporti".
I leader di Cgil e Uil hanno parlato, della decisione di Salvini, co me di atto politicamente gravissimo, squadrismo istituzionale e violazione della Costituzione, salvo poi di fatto rispettare il provvedimento.
"In realtà è una questione di interpretazione della legge 146/1990 che regola la materia, sul piano tecnico giuridico molto opinabile. Può porsi un problema di correttezza dell’applicazione di quella legge, su cui dovrebbe pronunciarsi il Tar del Lazio; non certo una questione di costituzionalità, dal momento che è la stessa Costituzione, all’articolo 40, a prevedere che sia la legge ordinaria a disciplinare l’esercizio del diritto di sciopero. Se la mettiamo sul piano sostanziale, però, mi sembra che dovrebbero essere soprattutto Cgil e Uil a spiegare qualcosa a questo proposito".
Cosa dovrebbero spiegare?
"Per quale motivo tengono tanto a che lo sciopero, proclamato per gli altri settori solo per una volta nell’arco delle prossime settimane, blocchi i trasporti pubblici per due giornate?".
Lei come lo spiega?
"Col fatto che se i trasporti pubblici sono paralizzati, tutti sono impossibilitati ad andare al lavoro: anche coloro che non aderiscono. Insomma, lo sciopero dei trasporti come sostegno tecnico allo sciopero negli altri settori. In questo modo, però, si lede la libertà di autodeterminazione delle persone e il loro diritto al lavoro: che sono anch’essi diritti costituzionali. E questo in qualche misura spiega la decisione dell’Autorità garante".
Che cosa è diventato lo sciopero oggi?
"È un fatto che in Italia nell’ultimo ventennio la frequenza complessiva degli scioperi è stata la metà rispetto alla Spagna e alla Francia, ma anche il doppio rispetto al Regno Unito e il quintuplo rispetto alla Germania. Ma la vera anomalia è un’altra".
Quale?
"Il fatto che in Italia sul totale degli scioperi, due terzi riguardano il settore dei trasporti pubblici. E l’anomalia raddoppia se si considera che in questo settore lo sciopero non produce alcun danno alla datrice di lavoro, al contrario: durante lo sciopero, mentre gli abbonamenti non si riducono, si azzerano i costi per retribuzioni, carburante, energia e usura dei mezzi. Per l’impresa è una boccata di ossigeno: tutto il danno è a carico dei viaggiatori, della collettività".
Lei ha parlato a questo proposito di uno snaturamento di questa forma di lotta.
"Sì: uno snaturamento che costa carissimo al movimento sindacale sul piano del prestigio e della saldatura tra mobilitazione dei lavoratori e interessi della collettività. Nuoce al prestigio sociale dello sciopero anche l’abuso che se ne fa, e proprio nel settore dei trasporti: lo stillicidio degli scioperi del venerdì è l’esatto contrario della solennità e gravità di questa forma di lotta di cui parlava Giuseppe di Vittorio alla Costituente".