Da 90 a 71 dollari al barile: è questa l’entità del calo del prezzo del petrolio dai massimi di aprile a oggi, con l’obiettivo di 100 dollari fissato dall’OPEC+ che si allontana sempre di più. L’OPEC+ è infatti divisa, con sempre più paesi che chiedono il permesso di esportare di più e alcuni di loro che lo fanno direttamente costringendo l’Arabia Saudita ad agire per frenare i ribassi. Così Riyad è tra l’incudine e il martello: non potendo aumentare la produzione più di tanto per paura che crolli il prezzo, le sue entrate restano troppo basse rispetto agli obiettivi ambiziosi di rinnovamento tecnologico e industriale fissati da Mohammad bin Salman.
Secondo Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia, questo calo delle quotazioni è dovuto in primis “all’abbondanza dell’offerta, che è attualmente superiore alla domanda”. E se da un lato, assistiamo a un aumento di produzione del greggio, sia all’interno che all’esterno dei Paesi Opec+, dall’altro, il rallentamento dell’economia cinese ha provocato anche una flessione della domanda da parte di uno dei maggiori consumatori di greggio al mondo”.