LA DOCCIA FREDDA è arrivata il 2 maggio scorso, con gli ultimi dati dell’Eurostat sull’inflazione. Dopo la frenata di marzo, ad aprile i prezzi hanno rialzato la testa, tornando a creare problemi alla Bce, la Banca centrale europea, la custode della solidità della moneta unica. Certo, non siamo all’indice a due cifre che ci ha accompagnato per l’intero 2022. Ma abbiamo di nuovo superato la soglia psicologica del 7% (dopo il 6,9% di marzo) e in alcuni Paesi, a partire dall’Italia, l’inflazione è tornata a viaggiare su quota 8,6%. Tutto questo, giovedì 4 maggio, ha reso inevitabile un ulteriore aumento dei tassi di interesse e, di conseguenza, dei mutui. L’ultimo aumento, in ordine di tempo, è stato deliberato dall’istituto di Francoforte, appunto, una decina di giorni fa, un ritocco all’insù di mezzo punto percentuale. Ed è molto probabile che si continuerà su questa strada, almeno fino a quando l’inflazione non invertirà la rotta in maniera strutturale.
L’effetto sui tassi ipotecari è stato immediato. Secondo i dati di Bankitalia, a febbraio i tassi d’interesse sui prestiti erogati nel mese per l’acquisto di case comprensivi del TAEG sono saliti al 4,12%, +0,17 punti percentuali rispetto al 3,95% di gennaio. Il tasso sulle nuove erogazioni di credito al consumo si è collocato invece al 9,88%, anche questo in crescita rispetto al mese precedente (9,79%). Per registrare un aumento di queste dimensioni bisogna tornare indietro di almeno 11 anni, al 2012. Il problema, ora, è capire però quali possono essere i possibili scenari. E, soprattutto, quando la ricorsa al rialzo potrebbe fermarsi.
Il Fondo monetario internazionale, diretto da Kristalina Georgieva (in foto sopra) è moderatamente ottimista e parla di "aumenti temporanei", i tassi molto bassi che c’erano prima del Covid sono destinati a tornare non appena l’inflazione sarà domata, si legge in un’analisi pubblicata il 10 aprile scorso. L’agenzia finanziaria delle Nazioni Unite afferma che l’inflazione alle stelle è solo un intoppo nella tendenza generale a tassi di interesse bassi piuttosto che un cambiamento permanente nel panorama finanziario globale. In particolare, secondo gli esperti, possiamo aspettarci tre possibili ipotesi. La prima, più ottimista, prevede in sostanza tassi fermi al 4%, con un ulteriore aumento quindi di 0,25 punti nelle prossime settimane. Molto dipenderà, però, dall’andamento dei prezzi delle materie prime e soprattutto dell’energia.
Un dato importante, ad esempio, è che ad aprile per la prima volta da sette mesi sono calati i prezzi alla produzione. E questo potrebbe essere il primo serio segnale di un’inversione di tendenza. Se, invece, l’inflazione non dovesse calare la testa, la Bce sarebbe costretta ad una terapia molto più pesante, che porterebbe i tassi di interesse attorno al 6%, addirittura superiori a quelli degli Stati Uniti. Sarebbe anche un modo per rendere più costosi i finanziamenti del debito pubblico e contrastare l’inflazione causata da un eccesso di offerta finanziaria. Uno scenario di questo tipo colpirebbe in particolare i Paesi più indebitati, a cominciare dall’Italia, che potrebbero essere costretti ad adottare nuove politiche più restrittive. Ma c’è anche chi non esclude, come estrema ratio, uno scenario ancora più duro, con tassi doppi rispetto ad oggi, fino all’8%, sul modello di quello che ha già fatto l’Ungheria. È l’ipotesi di una cura choc per battere l’inflazione. Che rischia, però, di abbattere anche l’economia del vecchio continente.