Roma, 12 agosto 2023 – La questione salariale in Italia non può essere ridotta solo al salario minimo. E, anzi, non è detto neanche che la sua eventuale introduzione risolva il nodo del lavoro povero e, quello più ampio, della mancata crescita delle retribuzioni nel nostro Paese, bloccate nella evoluzione negli ultimi venti anni almeno.
E, dunque, i nodi da sciogliere, prima del possibile varo di una paga base, sono molteplici: dalla bassa produttività al cuneo fiscale, dalla estensione della “migliore” contrattazione collettiva al contrasto del dumping contrattuale, fino agli incentivi fiscali e contributivi per sostenere i rinnovi degli accordi scaduti. E’ questa, in sintesi, la posizione del Cnel, come articolata in un documento di 13 pagine, illustrato dal suo Presidente, l’ex ministro Renato Brunetta, qualche settimana fa in un’audizione alla Camera. Ed è questa la piattaforma alla quale fa riferimento la premier Giorgia Meloni, quando rinvia il confronto sull’argomento clou della stagione “in ambito Cnel”, nel quale sono rappresentate tutte le parti sociali.
La questione salariale nel contesto economico e sociale
Nel papier si puntualizza "come il tema salariale, nel nostro Paese, trascini con sé questioni più ampie, che hanno a che fare, in primis, con l'alta diffusione di forme di lavoro irregolare, discontinue o dalla ridotta intensità lavorativa, con una bassa produttività del lavoro e con l'elevato cuneo fiscale”. Tant’è che i lavoratori a bassa retribuzione annua sono prevalentemente lavoratori non-standard, che non riescono a superare la soglia della bassa retribuzione annua, pur avendo livelli di retribuzione oraria superiori alla soglia che individua la bassa retribuzione oraria. Siamo di fronte a “evidenze che mostrano bene come non vi sia, nel nostro Paese, un problema di fissazione dei minimi adeguati, dato che la contrattazione collettiva (salvo che per alcune basse qualifiche e per alcuni limitati settori) pare in grado di garantire gli stessi e che le principali criticità si verifichino proprio per posizioni lavorative caratterizzate dalla non applicazione o dall'applicazione non corretta dei contratti collettivi”. La questione salariale, insomma, non si può ridurre al salario minimo, ma, anzi, vanno affrontati innanzitutto altri problemi che ostacolano la crescita dei salari dei lavoratori in Italia: nell’ordine, la bassa produttività (aumentata tra il 2000 e il 2020 solo dello 0,33 per cento) e il cuneo fiscale e contributivo (tra i più elevati dell’area Ocse).
L’Italia nel quadro europeo
La direttiva europea sul salario minimo - si spiega nel documento - non prevede obblighi di retribuzione minima fissata per legge, ma pone l’esigenza di una paga minima adeguata, che può essere soddisfatta anche per via contrattuale. E, in Italia, al 31 maggio sono applicati 975 contratti collettivi di lavoro: quelli firmati dalle federazioni di Cgil, Cisl e Uil coprono il 97 per cento dei lavoratori. La quasi totalità degli accordi prevede retribuzioni orarie sopra i 9 euro previsti dalla proposta delle opposizioni. Quale sarebbe l’impatto di questa soglia - si domandano al Cnel - sui contratti vigenti? Quali gli effetti sugli altri istituti come ferie, tredicesime e via di seguito?
Proposte e ruolo del Cnel
Nel documento si passano in rassegna le differenti proposte, alla fine unificate, sul salario minimo, mettendo in rilievo soprattutto i riferimenti al Cnel come soggetto di verifica e in qualche modo validazione dei contratti collettivi e della loro diffusione applicativa, oltre che di verifica della rappresentatività delle parti sociali e di centro di confronto e dialogo tra le parti sociali in materia di lavoro e relazioni industriali. Oltre che di sede nazionale del cosiddetto National Productivity Board.
Sul piano delle indicazioni di merito, le osservazioni di Brunetta a nome del Cnel vanno nelle direzioni indicate: recupero produttività, taglio cuneo fiscale. Ma anche, più nello specifico, maggiore sviluppo del welfare aziendale e degli enti bilaterali, e lancio di incentivi fiscali significativi sia per i rinnovi contrattuali sia per sostenere le forme di partecipazione dei lavoratori agli utili e ai risultati dell’impresa.