Giovedì 21 Novembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Pensioni, stretta sulle rivalutazioni. Ma vengono premiate le minime

Nel vortice delle nuove regole i pensionati più poveri ottengono benefici: l’asticella può toccare 600 euro

La stretta drastica sulle rivalutazioni, con una vera roulette tra percentuali, scaglioni e importi, è la principale novità per gli assegni dei pensionati scattata dal primo gennaio. E se da un lato i trattamenti minimi potranno contare su un super-adeguamento del 120 per cento (e ancora più elevato per gli over-75), coloro che ricevono più di 2.100 euro lordi mensili dovranno fare i conti con un mancato incremento che cresce al crescere dell’importo. Fino a raggiungere cifre significative che, cumulandosi, possono arrivare, secondo le stime del centro studi Itinerari previdenziali, anche a perdite di 13 mila euro in dieci anni, da qui al 2033, per chi sta sopra i 2.500 euro o addirittura a meno 69.000 per chi sta intorno ai 5.000 euro lordi mensili.

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Rivalutazione pensioni 2023
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Le pensioni minime 'premiate'

Nel vortice delle nuove regole sulla rivalutazione i pensionati al minimo, principalmente per le pressioni di Forza Italia e dello stesso Silvio Berlusconi, hanno ottenuto un beneficio non da poco. Certo, la base di partenza è minima (525 euro mensili), ma l’incremento è andato oltre il 100 per cento dell’inflazione attribuita (7,3 per cento). E così invece che fermarsi a 563 euro si arriva a 571. E, per gli over 75, va anche meglio: l’asticella ha toccato quota 600 euro.

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Le pensioni fino a 2.100 euro 'risparmiate'

Il cambio dei criteri di rivalutazione è consistito nel taglio delle percentuali a seconda degli importi di pensione e, soprattutto, nel passaggio dagli scaglioni alle fasce, che sono di per sé più penalizzanti, perché la più bassa percentuale si applica sull’intero importo. Ebbene, in questo passaggio, non è cambiato niente per i pensionati che hanno assegni fino a quattro volte il minimo (2.101,52 euro al mese lordi): otterranno la rivalutazione completa: circa 150 euro in più mensili.

Le pensioni del ceto medio 'penalizzate'

Per gli assegni tra le quattro e le cinque volte (da 2.102 a 2.627 euro) la rivalutazione sarà dell’85 per cento, del 53 per cento per quelli tra le cinque e le sei volte il minimo (2.627 euro a 3.152 euro). Scende al 47 per cento per quelli tra sei e otto volte il minimo da (3.152 euro a 4.203 euro), al 37 per quelli tra otto e dieci volte (fino a 5.254 euro) e al 32 per gli assegni oltre le 10 volte il minimo. Il risultato è un salasso progressivo rispetto al meccanismo che si sarebbe dovuto applicare in assenza del taglio: meno 24 euro mensili a 2.500 euro, meno 92 a 3.000 euro sempre lordi, mano 126 a 4.000 euro.

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I pensionati del ceto medio salassati da decenni

L’effetto del nuovo taglio si somma a quelli realizzati nei decenni passati dagli altri governi. "Per i pensionati – osservano gli esperti Alberto Brambilla e Antonietta Mundo – l’anno "nero" fu quello del governo Monti che nel 2012/13 di fatto azzerò la rivalutazione delle pensioni oltre 4 volte il minimo penalizzando anche quelle da 3 a 4 volte. Dal 1995 non accadeva una così grave penalizzazione per i pensionati, salvo il periodo 1999/2001, quando il governo Amato rivalutò solo del 30% gli assegni da 5 a 8 volte il minimo e azzerò quelli più elevati. Dal governo Monti in poi i pensionati con assegni pensionistici sopra 4 volte il minimo sono stati letteralmente "defraudati" dai governi Letta, Renzi, Gentiloni e soprattutto da quelli Conte 1 e 2". E così una pensione di 3.400 euro lordi mensili nel 2005 (circa 2.250 euro netti) ha perso, tra 2006 e 2023, 48.700 euro come mancati aumenti, più una perdita a vita stimata in altri 5.870 euro annui. Eppure, come osserva la Presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Lilia Cavallari, "il mantenimento del potere di acquisto per i pensionati è affidato quasi esclusivamente all’indicizzazione. Per le quote delle pensioni calcolate con le regole contributive (destinate a crescere nel tempo), il rallentamento o il congelamento anche temporaneo della rivalutazione è da considerarsi alla stregua di un’imposta".