Mercoledì 25 Dicembre 2024
GIORGIO COSTA
Economia

Rischio default, l’allarme degli analisti per le aziende italiane

Pesano inflazione, tensioni geopolitiche e aumento dei costi delle materie prime: il rischio default risulta essere salito al 6,22%

Tra le aziende italiane a rischio default ci sono quelle dei settori manifatturieri, come tessile e e agricolo (iStock)

Roma, 13 aprile 2024 – In uno scenario macroeconomico inasprito da inflazione che non cala come nelle attese, tensioni geopolitiche, aumento dei costi accessori e delle materie prime, le aziende italiane navigano a vista con un rischio default che cresce, come evidenzia l’ultimo Credit Outlook 2024 di Cerved Rating Agency.

La situazione che l’agenzia di rating ha fotografato preoccupa perché a dicembre dello scorso anno il rischio default risulta essere salito al 6,22% e, anche ipotizzando il miglior scenario possibile, potrebbe arrivare al 6,13%, una percentuale che rimane comunque elevata e ancora lontana dal 4,45% di dicembre 2019. Fattualmente, su un campione di oltre 15 mila società di capitali con rating creditizio assegnato da Cerved Rating Agency, la probabilità di default si è attestata a un valore sensibilmente superiore ai livelli pre-covid. Rispetto a tre anni fa, il numero di aziende con un rating positivo risulta essere diminuito, ossia sono cresciute le aziende con un rischio di insolvenza elevato. Così come l’incertezza economica mondiale degli ultimi anni ha anche ridotto la percentuale di rating Investment Grade: rappresentano ora il 40,8% rispetto al 56,7% nel 2019.

Secondo Massimiliano Bosaro, Ad e fondatore di MF Centralerisk, è importante rilevare i dati relativi al rischio di default delle aziende. “La valutazione delle imprese è un tema sempre più complesso ma al contempo necessario e se riflettiamo che i report sul merito creditizio disponibili in questi giorni si basano su bilanci di due anni fa, con il business che può mutare molto velocemente anche per via di un contesto macroeconomico e geopolitico in rapida trasformazione. Le decisioni strategiche si basano su dati troppo vecchi, serve un metodo che sia più tempestivo e altrettanto autorevole. Non possiamo mitigare i rischi nel fare impresa, possiamo però aumentare le profondità e soprattutto la tempestività nella rilevazione dei dati. Un metodo c’è e si può fare, come dimostrato dalle oltre 90 eccellenze italiane che di recente abbiamo riconosciuto con i Crediti Reputation Award, sulla base dei dati trasmessi dalla Banca d’Italia e contenuti nella Centrale Rischi di appena 35 giorni fa. Dimostrare la propria solidità finanziaria e affidabilità è la nuova frontiera”.

E le procedure concorsuali sono il termometro della situazione. “Dal 2020 in poi ci siamo talmente abituati a un andamento anomalo delle procedure concorsuali al punto da arrivare a meravigliarci per il modesto rimbalzo che si è visto nel 2023 – osserva Giacomo Barbieri, Partner dello studio Barbieri & Associati Dottori Commercialisti di Bologna –. Le cause sono state diverse, e tra queste pongo l’accento in particolare sulla perdita di interesse da parte di molti creditori rispetto all’avvio di procedure che sarebbero arrivate fuori tempo massimo a causa delle tante deroghe introdotte durante la pandemia. Il trascorrere del tempo ha reso nella maggior parte di casi le prospettive di recupero dei crediti scarse o nulle, creando il fenomeno delle imprese zombie. Il super privilegio attribuito per legge alle garanzie concesse dal Medio Credito Centrale ha fatto il resto. La calma piatta che ha caratterizzato tanti tribunali potrebbe presto diventare un bel ricordo, perché storicamente esiste sempre un ritardo fisiologico, anche di alcuni anni, tra l’andamento dell’economia e l’emersione delle crisi aziendali”. È plausibile che nel 2024 tanti nodi stiano alla fine venendo al pettine, e il principale banco di prova sarà l’imminente pubblicazione dei bilanci chiusi al 2023. Una risposta interessante può venire dalla composizione negoziata per la soluzione della crisi, il nuovo percorso di risanamento soft introdotto nell’autunno 2021, ma solo a patto di tenere alta l’attenzione sui possibili abusi da parte di soggetti privi della concreta possibilità di salvarsi. Il ruolo dei consulenti e dell’esperto indipendente, in questo senso, sarà determinante.

Particolarmente a rischio le aziende che appartengono ai settori manifatturieri, come il tessile e quello agricolo, maggiormente esposte agli effetti dell’inflazione, dello shortage di materie prime e dell’aumento dei costi energetici. Al contrario, tecnologia e turismo, incluso il settore immobiliare, potrebbero risentire meno del rischio di default. "Il 2024 si è aperto con grande volontà da parte delle imprese italiane di migliorare il proprio posizionamento di mercato – commenta Mirko Tramontano, ceo di MyCredit –. È fondamentale che a questo approccio costruttivo, finalizzato a recuperare il terreno perso durante il periodo di aumento dei tassi di interesse BCE, si unisca una capacità di strutturarsi maggiormente per attrarre capitale e consentirne una crescita sostenibile. Se guardiamo poi al settore Real Estate, così come al settore immobiliare turistico, abbiamo evidenze quotidiane di grande resilienza e di forte interesse ad investire con provenienza di capitali sia italiani che esteri: ciò dimostra l’ottima tenuta di questi settori che sono destinati ad una ripresa dei volumi prima e dei valori poi, con l’evidente beneficio per le imprese del settore, a condizione che siano in grado di adeguare i propri standard qualitativi alle attuali richieste del mercato".

Tre i possibili scenari per il 2024 elaborati dagli analisti di Cerved Rating Agency. Lo scenario base, che rappresenta l'ipotesi più probabile, prefigura una persistenza delle tensioni geopolitiche attuali, con un impatto limitato sull'economia. La crescita economica si rafforzerebbe nella seconda metà del 2024, grazie al calo dell'inflazione, al taglio dei tassi di interesse e a un mercato del lavoro più solido. Secondo Giuseppe Carteni, Partner di Lead, “Nello scenario base vediamo un leggero miglioramento del quadro economico congiunturale con una stima sulla probabilità di default delle nostre imprese che scende dal 6,22% del 2023 al 6,13% di fine 2024, non dobbiamo però dimenticarci che tale probabilità di default, prima del Covid, si attestava al 4,5%. In estrema sintesi il lavoro di Cerved ci dice che oggi le imprese soffrono principalmente per elementi esogeni, in particolare geopolitica e incremento dei tassi di interesse. Infatti, le guerre pesano sull’andamento economico ed in Europa la miope visione della BCE sulla crescita inflazionistica sino al 2022 ha portato ad un incremento elevatissimo dei tassi di interesse in una finestra temporale brevissima, con le ovvie e note conseguenze sull’economia reale”. Dall’altra parte, il report dice che i fattori endogeni alle imprese che supportano la loro resilienza sono l’incremento dimensionale e l’adozione di modelli ESG, che troviamo di norma in società maggiormente strutturate. “Proprio in ragione di ciò speriamo – conclude Carteni – che il nuovo quadro normativo del Ddl Capitali, che ha come obbiettivo l’incremento della competitività e la crescita del mercato dei capitali, possa aiutare le imprese italiane, anche in ragione della rimozione di alcuni vincoli normativi e regolamentari all’accesso ai mercati finanziari, a crescere e a collocarsi così in posizioni dove, come abbiamo visto, le probabilità di default sono inferiori”.