Sono tornate prepotentemente sotto i riflettori in occasione del recente attentato terroristico a Istiklal, la via dello shopping di Istanbul. La polizia turca, infatti, avrebbe rintracciato la donna sospettata di aver piazzato la bomba attraverso un software dotato di avanzate tecniche per il riconoscimento facciale e il tracciamento dei dati Gps.
E sono sempre più numerosi gli ambiti in cui trovano applicazione questa e altre tecniche biometriche, così chiamate perché consentono di identificare una persona a partire dalle sue caratteristiche fisiche, come le impronte digitali, la voce, l’iride o il viso. Oltre ai sistemi di sicurezza e videosorveglianza (ad esempio, negli aeroporti), il riconoscimento facciale viene già usato per sbloccare in modo sicuro i nostri smartphone, accedere alle singole app o effettuare pagamenti digitali, ma si parla di una sua possibile applicazione all’interno delle auto (per individuare stati d’animo ed emozioni di guidatore e passeggero) e all’ingresso di scuole e supermercati.
Giro d’affari da capogiro
Sospinto da una domanda sempre più pressante a livello globale, il riconoscimento facciale muove un giro d’affari che attualmente si aggira attorno ai 4 miliardi di dollari in tutto il mondo ed è destinato ad aumentare, secondo le previsioni degli osservatori, di altri 4 miliardi entro il 2025, raggiungendo così la soglia degli 8,5 miliardi di dollari. Le cifre si fanno ancor più sbalorditive se si guarda all’insieme delle tecniche di identificazione biometrica: in tal caso, la previsione per il 2025 è di un volume d’affari pari a oltre 60 miliardi di dollari. Ritenuti da più parti l’avanguardia della sicurezza e la nuova frontiera dell’autenticazione, i sistemi di riconoscimento facciale si fanno ancor più meticolosi con il progredire delle tecniche legate all’apprendimento automatico e alle cosiddette ‘reti neurali’, modelli informatici che riproducono il comportamento del cervello umano. Saranno soprattutto gli investimenti da parte di governi nazionali e dipartimenti della Difesa a trainare il mercato dei sistemi biometrici: a conferma di ciò, basta dare un’occhiata alle spese da record sostenute dalla Cina per controllare la popolazione tramite il riconoscimento facciale. Oltre 210 miliardi di dollari nel decennio 2010-2020: un esborso superiore del 7% alla spesa dichiarata da Pechino per le forze armate e il mantenimento della macchina bellica.
L’impatto del Covid-19
A contribuire in maniera decisiva alla diffusione massiccia di queste tecnologie è stata, ancora una volta, la pandemia. La richiesta è cresciuta in modo esponenziale soprattutto nelle applicazioni di accesso agli spazi pubblici (applicazioni non presenti nel nostro Paese), poiché permettevano di verificare se i soggetti indossassero la mascherina. Al contempo, la difficoltà del riconoscimento di volti con mascherina ha reso necessario modificare o aggiornare gli algoritmi esistenti, basati su elementi come iride, pupilla, palpebre, colore della pelle, rughe, etc. Anche in questo caso si stanno investendo cifre enormi nel miglioramento delle soluzioni: solo per citare un esempio, il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti prevede di investire almeno 2 miliardi di dollari entro il 2024 per sviluppare sistemi avanzati di riconoscimento facciale.
Il lato oscuro
Vera e propria miniera d’oro per le aziende del settore, i sistemi di riconoscimento biometrico nascondono però delle insidie: errori, discriminazioni, rischio di sorveglianza di massa e violazione della privacy. Le tecniche biometriche possono infatti estrarre informazioni personali da una semplice foto del viso: tratti identificativi, identità di genere, stati d’animo, condizioni di salute e molto altro. Le domande che sorgono al riguardo, dunque, sono tante: chi tratterà questi dati? Chi potrà correlarli direttamente al soggetto? Chi e come garantirà il diritto alla privacy? Per dare una risposta a questi interrogativi occorrerebbe innanzitutto una regolamentazione solida, che al momento manca sia a livello nazionale che europeo e internazionale.
Il vuoto normativo
Nel 2021 il Parlamento europeo ha votato una prima risoluzione che chiede alla Commissione di vietare il riconoscimento facciale come strumento di prevenzione generalizzato in tutta l’Unione. L’idea è che il riconoscimento facciale possa essere utilizzato unicamente come strumento per riconoscere soggetti già “sospettati di un crimine” e non in ipotesi generiche, con modalità di riconoscimento automatico e indiscriminato negli spazi pubblici. A seguito di questa risoluzione, in Italia gli strumenti di riconoscimento facciale nei luoghi pubblici sono sospesi fino a dicembre 2023. Contemporaneamente, a livello internazionale, le crescenti preoccupazioni degli utenti e il contestuale vuoto legislativo hanno convinto i colossi del tech – tra cui Meta, Amazon e Microsoft – a ridurre o interrompere del tutto lo sviluppo di tecnologie legate al riconoscimento facciale. Ma altre aziende, meno scrupolose e meno esposte, hanno creato dei veri e propri database sfruttando milioni di immagini recuperate online, senza alcuna autorizzazione dei legittimi proprietari. Ad esempio, ClearView AI Inc, società statunitense, ha raccolto miliardi di immagini di volti da social network come Facebook, Twitter e Youtube e ha realizzato un sistema di riconoscimento capace di collegare i visi a una specifica identità. Lo strumento è stato venduto a organismi delle forze dell’ordine di molte parti del mondo (tra cui spiccano l’Fbi, l’esercito americano e il governo ucraino), per poi essere dichiarato illegale da molti tribunali (ad esempio, in Canada, Regno Unito, Australia e Italia). In Italia, in particolare, il garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato Clearview AI per 20 milioni di euro “per aver messo in atto”, si legge nel comunicato dell’Autorità, “un vero monitoraggio biometrico, anche di persone che si trovano nel territorio italiano”. E ha disposto l’obbligo di cancellazione immediata di dati dei cittadini italiani, nonché il divieto di ulteriori raccolte.
Prospettive e scenari
A Strasburgo è in corso una discussione accesa sugli scenari instaurati dall’applicazione del riconoscimento facciale: è opportuno, infatti, che una tecnologia in grado di penetrare così capillarmente nella vita delle persone sia inquadrata e regolamentata, prima che avvengano casi di discriminazione di genere o etnia, dovuti anche a errori (inevitabili) dell’algoritmo su cui è basata. Sul fronte delle possibili applicazioni in settori diversi da sicurezza pubblica e videosorveglianza, invece, sviluppi molto promettenti arrivano oggi dalle startup del biomedicale. La società britannica Feebris, ad esempio, ha lanciato una app che consente ai medici di famiglia di diagnosticare a distanza patologie respiratorie come l’asma e controllare costantemente i pazienti fragili. Ma la piattaforma più avanzata in questo ambito è senz’altro AI Cure, soluzione in grado di monitorare dallo smartphone le espressioni del paziente, per aiutare il medico a capire come stia rispondendo ai farmaci prescritti. Nello specifico, la app cattura e analizza svariati biomarcatori digitali - inclusi i movimenti della testa, degli arti superiori e delle mani, l'acustica e la produzione vocale, il contenuto del parlato e l'espressività facciale – per individuare i sintomi di eventuali patologie: ad esempio, l’analisi di tremore facciale e velocità della parola possono essere collegati alla malattia di Parkinson, il movimento della testa a disturbi depressivi e schizofrenia.