Roma, 14 luglio 2023 – Antimonio , barite, berillio, cobalto. Ma anche Tungsteno, bauxite, titanio. Fino alle cosiddette "terre rare", come il disprosio o l’erbio e l’europio. Siamo in una nuova corsa all’oro mondiale che ha per oggetto le materie prime critiche, quelle dalle quali dipendono le nuove tecnologie. La Cina la fa da padrona, con la produzione del 49% del fabbisogno totale effettivo delle produzioni in gioco. E noi, però, non possiamo stare a rincorrere e a dipendere strategicamente da Paesi fuori dall’Unione europea. Dunque, avanti tutta con la riapertura delle vecchie miniere italiane, che hanno nelle viscere un tesoro di materiali preziosi.
Parola di Adolfo Urso, che, da ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha lanciato una vera campagna per arrivare a una semi-autonomia italiana su questo fronte tanto delicato. A spiegare la strategia italiana per le materie prime critiche è lo stesso titolare del dicastero di Via Veneto. "L’Unione europea – avvisa – ha definito 34 materie prime critiche, di cui 16 considerate anche strategiche per la loro rilevanza nella transizione ecologica e digitale, destinate all’aerospazio e alla difesa, alla produzione di batterie elettriche e pannelli solari, e in Italia possediamo 16 di queste 34 materie prime critiche, ma si trovano in miniere che sono state chiuse 30 anni fa". Dunque, occorre investire e riattivare queste potenzialità, riaprendo le miniere. "Entro la fine dell’anno – insiste il ministro – tutto il quadro (il regolamento europeo sull’estrazione e lavorazione delle materie prime critiche in Europa) sarà chiaro: la normativa europea, quella italiana e le potenzialità del nostro territorio. A quel punto le imprese potranno presentare i loro progetti".
Attualmente sono stati definiti quattro gruppi di lavoro al ministero delle Imprese, ma quello che più rileva è il gruppo "Mining", coordinato da Ispra, che mira – come si legge in un documento del ministero – all’identificazione delle potenzialità delle attività estrattive primarie e secondarie per arrivare a un’estrazione sostenibile in Italia e un recupero di materie prime da siti abbandonati e rifiuti minerari. La mappa dei siti italiani è aggiornata periodicamente: e le miniere italiane di minerali metalliferi – si spiega – sono state abbandonate per presunto esaurimento delle risorse ma soprattutto per scelta di politica economica perché risultava più conveniente l’importazione a basso costo, invece di investire nel rinnovamento di miniere obsolete dal punto di vista ambientale e tecnologico.
Ma l’abbandono delle miniere ha comportato la progressiva perdita delle competenze scientifiche, tecnologiche e gestionali in materia. Correre verso il nuovo-vecchio oro, oggi, però, è tornato di strettissima attualità. Uno degli obiettivi-cardine dell’operazione europea e italiana è quello di fare in modo che l’Ue al 2030 non dovrebbe dipendere per oltre il 65% da un unico Paese terzo per quanto riguarda l’approvvigionamento di qualsiasi materia prima strategica. Solo che per raggiungerlo servono misure di drastica semplificazione che dovrebbero portare a una tempistica di 24 mesi per estrazione e 12 mesi per i permessi di trattamento e riciclaggio. Oggi ci vogliono 15 anni in Europa per avere l’autorizzazione a estrarre da una miniera, a fronte di 7 anni negli Stati Uniti, 2 in Canada e 3 mesi in Cina.
A definire la posta in gioco, bastano pochi numeri: la domanda annua di litio per batterie, utilizzato per fabbricare batterie per la mobilità, potrebbe aumentare di 89 volte rispetto a livelli attuali, ma l’Europa ne estrae al momento solo l’1% del totale globale. La domanda di terre rare, da cui si ottengono i magneti permanenti utilizzati nelle turbine eoliche o nei veicoli elettrici, crescerà di 67 volte entro il 2050; quella di gallio, uno degli elementi che assieme al germanio è stato sottoposto a misure selettive di controllo dell’esportazione da parte cinese, utilizzato per la fabbricazione di semiconduttori, crescerà di 17 volte entro 2050.