Roma, 8 luglio 2020 - "Non possiamo indietreggiare rispetto alla proposta della Commissione europea. E' una proposta ben bilanciata, non è quella che avremmo preferito ma siamo consapevoli che occorra anche una buona dose di realismo. Dovremo portarla a casa subito". Vale a dire, finalizzare il pacchetto "entro fine mese". Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampa a Madrid, torna in pressing sul Recovery Fund da 750 miliardi studiato dalla Commissione europea per far ripartire l'economia dei Ventisette dopo lo shock del Coronavirus. Una misura inedita, che prevede di sostenere le economie più colpite dal Covid-19 per due terzi (500 miliardi) con sovvenzioni e per i rimanenti 250 miliardi con prestiti. E che, com'era immaginabile, è estremamente divisiva per i Paesi dell'Unione europea. A meno di dieci giorni dal vertice Ue del 17-18 luglio (che discuterà anche del bilancio europeo a lungo termine 2021-2027, del valore di 1.100 miliardi), da una parte e dall'altra si lanciano messaggi.
A partire, appunto, dal premier italiano, che il 7 luglio era a Lisbona e oggi, 8 luglio, a Madrid, dove ha incontrato il capo del governo spagnolo Pedro Sanchez. Portogallo e Spagna sono due alleati, nel gruppo di nove Paesi che preme per la linea del Recovery Fund. La prossima tappa di Conte, invece, sarà venerdì 10 a L'Aja, nei Paesi Bassi che rappresentano l'economia più importante nel gruppo dei Paesi 'falchi' (di cui fanno parte anche Austria, Svezia e Danimarca), a Berlino il 13 e a Parigi il 16. Al suo omologo olandese Conte manda un messaggio diretto: "Ho ricordato a Mark Rutte che i Paesi Bassi devono contribuire a una soluzione rapida - ha detto il premier in un'intervista al quotidiano catalano La Vanguardia -. In gioco c'è il mercato unico, dal quale l'Olanda trae benefici importanti. Non devono muoversi solo Italia, Portogallo e Spagna, deve farlo tutta l'Europa". Stessa linea per Sanchez: Italia e Spagna sono i Paesi che più premono per una conclusione veloce delle trattative, già entro fine luglio, mantenendo la misura nei termini già definiti dalla Commissione europea. Più sfumata la posizione della cancelliera tedesca Angela Merkel, che però preme per un accordo in tempi brevi: "Non abbiamo tempo da perdere: spero che entro l'estate si arrivi a un accordo, anche se necessiterà di compromessi". Prudente la presidente della Bce, Christine Lagarde: "Non scommetterei tutto" su un accordo il 18 luglio, ha detto. Da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, l'appello ai Ventisette per "agire insieme e assieme rilanciare l'Europa". Ma che la partita non sarà semplice lo dimostra la netta opposizione dei 'falchi', che fanno quadrato soprattutto contro l'idea delle sovvenzioni a fondo perduto: "La nostra posizione è che l'aiuto dev'essere fatto di prestiti, non di contributi. Ma insistiamo anche perché ci si concentri sull'aumento della competitività dei Paesi che li ricevono", ha ribadito pochi giorni fa Rutte in un'intervista al settimanale Sette.
Che cos'è il Recovery Fund
Letteralmente, il termine significa "fondo di ripresa". Si tratta di uno strumento, chiesto soprattutto dall'Italia e dalle altre maggiori economie dell'area mediterranea, per far ripartire l'economia dopo la crisi derivata dalla pandemia di Coronavirus. Nel corso di questi mesi sono state elaborate diverse proposte: quella 'ufficiale' della Commissione europea, che si chiama Next Generation Eu, prevede un fondo da 500 miliardi di euro da raccogliere sui mercati finanziari, distribuendoli sotto forma di sussidi garantiti dal bilancio dell'Unione europea, a cui si affiancherebbero 250 miliardi di prestiti a tasso agevolato. Totale, appunto, 750 miliardi di euro. Un 'tesoretto' che poi andrebbe distribuito ai Paesi europei. L'Italia, secondo le anticipazioni (ma molto dipenderà dagli esiti delle trattative) sarebbe la prima beneficiaria, con circa 173 miliardi di cui 82 sotto forma di sovvenzioni e 91 come prestiti. Seguono Spagna (140 miliardi), Polonia (64), Francia (39) e Grecia (32).
Gli schieramenti in Europa
Già a marzo, con una lettera congiunta, nove Paesi europei avevano chiesto l'adozione di uno strumento comune di debito, emesso da un'istituzione europea per raccogliere fondi sul mercato alle stesse condizioni per tutti: i famosi Eurobond, o Coronabond come sono stati chiamati nelle settimane di trattative. La lettera era firmata da Italia, Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, Slovenia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo. Accantonati gli Eurobond, questi Paesi hanno puntato sul Recovery Fund, per tentare di superare le resistenze dei 'Paesi frugali' capeggiati dall'Olanda (con Svezia, Austria, Danimarca), mentre la Germania in questo caso ha tenuto una posizione più morbida che in passato. A maggio una prima proposta di Recovery Fund è arrivata da Francia e Germania, che hanno lanciato l'idea di un fondo di 500 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto. Oltre alla netta contrarietà dei 'frugali', critiche al Recovery Fund sono arrivate anche dalla Finlandia. Più smorzata la posizione del blocco di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), che inizialmente era contrario ma ora apre, chiedendo però un riequilibrio nella distribuzione dei fondi.
La partita riflette modi molto diversi di concepire l'integrazione europea e la politica economica del gruppo dei Ventisette: i 'frugali' si oppongono alla condivisione del debito, un tema di cui si parla da anni (le discussioni sugli Eurobond non nascono con il Coronavirus) senza particolari progressi. E per questo tutti guardano con particolare attenzione al vertice del 17-18 luglio.
Le altre misure
Contro il Coronavirus l'Europa ha già messo in campo 540 miliardi di euro a vario titolo. Di questi, 100 miliardi sono stanziati per il Sure, una specie di cassa integrazione europea sotto forma di prestiti. Poi c'è un fondo di garanzia paneuropeo da 25 miliardi, creato dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) che fornirà 200 miliardi di prestiti alle pmi. E poi ci sono i 240 miliardi del Mes, il fondo Salva Stati: ogni Stato può chiedere fino al 2% del proprio Pil, il che vuol dire che l'Italia può chiedere un prestito da 37 miliardi, a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato con l'unica condizionalità che siano destinati alle spese sanitarie. Il premier spagnolo Sanchez ha già fatto sapere di non avere intenzione di accedervi in questa fase, mentre a Roma la questione è aperta, visto che la maggioranza è divisa tra chi è favorevole a richiedere i soldi e chi è contrario. Oggi Conte ha buttato la palla in corner: "Non credo che sia corretto dire ora se lo prendiamo o no". Prima, insomma, Palazzo Chigi vuol vedere come si concluderà la partita del Recovery Fund.