
Una portacontainer a Qingdao, Cina: i dazi colpiscono il commercio mondiale. In basso, Paolo Agnelli
Roma, 28 marzo 2025 – Alla premier Giorgia Meloni consiglia di volare a Washington per trattare direttamente con Trump e trovare un accordo sui dazi. Affidarsi all’Europa significa solo perdere tempo. Parola di Paolo Agnelli, industriale bergamasco di terza generazione, fondatore e presidente di Confimi Industria, e della Banca delle PMI, che parla senza usare metafore o mezze parole. Anzi, va diritto al cuore dei problemi. Da imprenditore nel settore dell’alluminio, ha già subito i dazi di Trump, ma non si è affatto fasciato la testa. “Abbiamo avuto un calo fra il 3 e il 5%. Da questo punto di vista non siamo preoccupati. Anche perché i nostri profilati sono di alta qualità, è difficile trovarli altrove”.
Quindi, nessun problema?
“La verità è che i dazi di Trump rischiano di creare una paralisi sia degli investimenti sia dei progetti di sviluppo. L’incertezza è il peggior nemico della crescita economica: se non c’è chiarezza sul futuro, si ferma tutto”.
Ma, nel concreto, quanto stanno pesando i dazi di Trump sull’industria italiana?
“Dipende molto dal settore e dalle quote di esportazione. È chiaro che ci sono prodotti che non possono essere sostituiti. Penso al settore del lusso o dell’agroalimentare di qualità. È chiaro che il prosciutto San Daniele si può produrre solo qui e un americano che può acquistare una Ferrari non si farà certo spaventare da un eventuale aumento dei prezzi. Certo, poi ci sono settori che, naturalmente, potrebbero avere conseguenze pesanti, come ad esempio quello del vino. Ma non mi fascerei la testa”.
Che cosa farebbe?
“L’Italia dovrebbe pensare a fare i propri interessi. Suggerirei alla premier Meloni di andare a trattare direttamente con Trump, con umiltà ma anche con decisione. Il presidente americano è un imprenditore, compra e vende palazzi, è un uomo al quale piace la trattativa, anche sul prezzo. Penso che si possa trovare un accordo”.
E l’Europa?
“Occorre cambiare mentalità. L’Europa è un progetto fallito, un’Unione di Paesi che hanno interessi diversi. Non possiamo andare d’accordo con gli altri partner. Del resto, basta vedere quello che ha fatto la Germania: ha cambiato la Costituzione e messo in campo un piano di mille miliardi, spiazzando tutti”.
Ma è proprio convinto che, andando a trattare da soli, riusciremo a strappare condizioni migliori a Trump?
“L’alternativa è quella di affidarsi d un’Europa che esiste solo sulla carta, che non ha un vero e proprio progetto di politica industriale. E né potrebbe averlo. Bisogna, insomma, mettere da parte il mito della globalizzazione e fare i nostri interessi, mettere in piedi una sana strategia di marketing internazionale in grado di favorire i nostri prodotti e la nostra economia. L’idea di un braccio di ferro con Trump potrebbe rivelarsi perdente”.
Non dobbiamo anche fare i compiti a casa e rivedere la nostra politica industriale?
“Bisogna svegliarsi e darsi da fare, senza aspettare l’Europa e la sua iper-regolamentazione che ha fatto crescere, negli anni, i nostri concorrenti, a partire dalla Cina, e ha spinto 23mila fabbriche italiane a delocalizzare altrove. Senza contare la concorrenza interna, con gli spagnoli che ci portano via clienti perché possono contare su un costo dell’energia più basso, sussidiato dallo Stato. Dobbiamo pensare alla nostra manifattura che vale il 73,8% del Pil”.