Giovedì 21 Novembre 2024
ELENA COMELLI
Economia

Rating dell'Italia confermato, S&P: deficit salirà al 2,7%

Tagliato l’outlook a negativo. L'agenzia statunitense: "Le decisioni di politica economica e fiscale del governo pesano sulle prospettive di crescita"

Tria a 'Porta a Porta'. Sullo sfondo Conte, Di Maio e Salvini (ImagoE)

Tria a 'Porta a Porta'. Sullo sfondo Conte, Di Maio e Salvini (ImagoE)

Milano, 27 ottobre 2018 - Dopo Moody’s, S&P. Un altro avvertimento pesa sulla crisi del debito pubblico italiano con la decisione di Standard & Poor’s, che ha confermato ieri il rating a BBB, ma ha cambiato l’outlook in negativo. Un’altra tappa in questa discesa agli inferi ormai prevedibile, che ci arricchisce d’inquietudine e ci impoverisce di capitali in fuga. Il giudizio dell’agenzia sull’operato del governo è molto duro: «A nostro avviso il piano di politica economica e fiscale del governo italiano sta pesando sulle prospettive di crescita economica del paese», si legge nelle valutazioni alla base della variazione dell’outlook. «Le impostazioni programmate di politica economica e fiscale del governo – prosegue la nota – hanno eroso la fiducia degli investitori, come riflesso da un aumento del rendimento sul debito pubblico. Ciò a sua volta sta influenzando negativamente l’accesso delle banche al finanziamento del mercato dei capitali». Il tutto con forti rischi per la crescita del Paese.

Rating, Fitoussi: "Italia solida, troppo rumore"

L'agenzia di rating stima inoltre che il rapporto deficit/Pil dell’Italia nel 2019 si attesterà intorno al 2,7% e non al 2,4% come indicato dal governo italiano. Alla luce di questa considerazione, per l’agenzia non continuerà il cammino di riduzione del debito. Anzi, S&P si aspetta che nei prossimi tre anni il rapporto debito/Pil dell’Italia si manterrà al 128,5%. Sul versante della crescita le stime sono ribassate all’1,1%, sia per quest’anno che per il prossimo. Nell’attesa del giudizio, ieri il Tesoro ha dovuto pagare il conto della tensione degli ultimi tempi: per collocare 3 miliardi di euro del nuovo Ctz a 24 mesi e 996 milioni del Btp indicizzato a 10 anni, ha dovuto offrire rendimenti in asta molto più alti del recente passato per trovare sottoscrittori. Sul Ctz, rispetto alle condizioni di aprile, il Tesoro deve mettere così in conto spese annue superiori per quasi 60 milioni. Ma l’anno prossimo potrebbe andar peggio.   Nei primi mesi di vita di questo governo, gli investitori dal resto del mondo hanno già fatto uscire dal Paese quasi 60 miliardi di euro e, se si va avanti così, il 2019 si presenta in salita. Il Tesoro l’anno prossimo deve collocare 250 miliardi di titoli ed è già chiaro che l’operazione di rimpatrio del debito pubblico non riuscirà a coprire tutto lo stock abbandonato dagli investitori esteri. Si spiega anche con questo dato la deferenza del governo italiano nei confronti di Vladimir Putin e le frequenti visite a Mosca. La partita è molto legata al livello del rating che ci assegnano le agenzie internazionali, ma anche al deliberato inasprimento dei toni nello scontro in corso sulla manovra con la Commissione Ue.

Un anno fa, Standard & Poor’s aveva ipotizzato di poter abbassare il rating da BBB o l’outlook da «stabile» a «negativo», come ha fatto ieri, nel caso di forte rallentamento della crescita o di peggioramento delle partite correnti sull’estero o, infine, se fosse venuta meno la fase di miglioramento dei conti pubblici. E’ quest’ultimo parametro, alla luce delle stime sulla manovra, a pesare sulla pagella assegnata dalle agenzie di rating. Se l’Italia finisse in grado «non investment», i maggiori investitori sarebbero costretti dai loro stessi regolamenti a escludere i titoli del Tesoro, forzando vendite di debito pubblico italiano per almeno cento miliardi di euro, secondo i calcoli della banca d’affari Goldman Sachs.