Venerdì 18 Aprile 2025
Fabio Lombardi
Fabio Lombardi
Economia

Perché S&P ha alzato il rating dell’Italia e cosa significa

L’Italia è passata da una valutazione BBB a una BBB+. Un miglioramento dell’affidabilità economica del Paese anche se le stime del Pil per l’anno in corso e per i prossimi stanno peggiorando

Perché S&P ha alzato il rating dell’Italia e cosa significa

Roma, 12 aprile 2025 – S&P alza il rating dell'Italia portandolo da BBB a BBB+ con outlook stabile. Un miglioramento dato da una delle principali società di rating Standars & Poor’s chiamata periodicamente a valutare “l’affidabilità economica” dei Paesi.

Perché S&P ha alzato il rating dell’Italia

Un voto che premia, spiega l'agenzia di rating la stabilità politica e dei mercati. E se la crescita si fermerà allo 0,6% quest'anno il rapporto debito-pil si stabilizzerà poi a partire dal 2028. “Il governo della premier Giorgia Meloni, fra i più longevi della recente storia italiana, gode di un solido sostegno pubblico. Beneficia inoltre di una maggioranza parlamentare stabile e di limitate minacce di opposizione, il che rende probabile la sua permanenza al potere fino al 2027. Questa continuità politica ha contribuito a preservare la stabilità dei mercati finanziari e sostenere progressi costanti”, sottolinea l'Agenzia.

"Le prospettive stabili bilanciano i punti di forza fondamentali del credito italiano – la sua economia diversificata, le riserve di risparmio del settore privato e l'appartenenza all'Unione economica e monetaria (Uem) con le sue debolezze creditizie – vale a dire gli elevati livelli di debito pubblico e le sfide demografiche", sottolinea S&P.

Cos’è il rating

Il rating (letteralmente "classificazione") è un metodo utilizzato per valutare sia i titoli obbligazionari (bond credit rating o corporate credit rating se sono bond emessi da aziende), sia le imprese stesse in base al loro rischio finanziario e rischio di credito (detto anche "rischio di insolvenza"). Le valutazioni del rating sono emesse ad opera delle cosiddette agenzie di rating, ognuna con il suo sistema di rating/classificazione (il grado più basso indica le aziende o Stati quasi sicuramente insolventi).

I sostanza il rating di un Paese indica quanto rischiano gli investitori che hanno comprato o comprando buoni del tesoro (come Btp, Bot, Cct). Il rischio consiste nella possibilità che un Paese non possa più sostenere il proprio debito (sostanzialmente dichiarando fallimento, il cosiddetto “default”) e quindi rimborsare questi titoli. Una situazione già avvenuta, ad esempio, due volte in anni recenti in Argentina con gli ormai famigerati tango bond che diventarono dall’oggi al domani carta straccia.

Le classificazioni

Stantadr & Poor’s adotta un sistema di classificazioni che va da “trimpla A” fino a D. Vediamo le principali classificazioni e i loro significato:

  • AAA, elevata capacità di ripagare il debito
  • AA, alta capacità di pagare il debito
  • A, solida capacità di ripagare il debito, che potrebbe essere influenzata da circostanze avverse
  • BBB, adeguata capacità di rimborso, che nel futuro potrebbe peggiorare
  • BB e B, debito prevalentemente speculativo
  • CCC e CC, debito altamente speculativo
  • D, società insolvente

I Paesi con il miglior rating

Restando sulle valutazioni della classifica di Stantard & Poor’s ci sono diversi Paesi che hanno classificazioni dalla A in sù. I principali sono Stati Uniti (AA+), Regno Unito (AA), Giappone (A+), Svizzera (AAA), Germania (AAA), Danimarca (AAA), Norvegia (AAA), Canada (AAA), Australia (AAA), Francia (AA).

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L’Italia migliora

Un voto appunto che, sottolinea il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, "premia la serietà dell'approccio del governo italiano alla politica di bilancio. Nel clima generale di incertezza, prudenza e responsabilità continueranno a essere la nostra linea di azione”.

Il voto arriva dopo il calcoli del nuovo Documento di finanza pubblica (Dfp ex Def) improntati alla cautela: il 2025 parte con una crescita dell'economia stimata al +0,25%. Un passo lento orientato a raggiungere il +0,6% a fine anno. Ma lo scenario è dominato da forti "rischi al ribasso” e da una elevata e crescente “incertezza”, è l'avvertimento che accompagna ormai qualsiasi previsione ufficiale.

Le stime del Pil

I dazi di Trump o i possibili shock finanziari, infatti, potrebbero zavorrare il Pil o gonfiare il già enorme debito. L'ex Def, fissa così le nuove stime e conferma l'impegno del governo a rafforzare le politiche per la famiglia. Ma che certifica anche il flop di Transizione 5.0 e del concordato fiscale per le partite Iva. Il Dfp è arrivato alle Camere, che lo devono esaminare prima dell'invio – entro fine mese – a Bruxelles. Le prospettive economiche ”appaiono più incerte e complesse” e la necessità di rispondere ai nuovi temi della sicurezza e dei dazi pongono “sfide complesse”, avverte nella premessa il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che conferma la linea della prudenza: il governo “risponderà salvaguardando la disciplina di bilancio”.

Anche per la difesa comune Ue l'Italia ribadisce la centralità della "sostenibilità” dei conti. Il quadro macroeconomico tendenziale tracciato nel Dfp fissa il Pil al +0,6% quest'anno e al +0,8% sia nel 2026 che nel 2027. Riducendo quindi le stime elaborate in autunno nel Psb (+1,2% per quest'anno, +1,1% il prossimo e +0,8% nel 2027). E allineandole a quella della Banca d'Italia. Uno scenario che, puntualizza l'Istituto di via Nazionale, include solo “una prima e parziale valutazione degli effetti dei dazi” e che “potrebbe risentire in modo particolarmente pronunciato di eventuali misure ritorsive, ulteriori aumenti dell'incertezza e di tensioni prolungate sui mercati finanziari”.

L’incognita dazi

Il 2025 intanto parte a ritmo lento. Il Pil è "aumentato in misura moderata nei primi mesi”, indica Bankitalia. Un passo che l'Ufficio parlamentare di bilancio quantifica in “un quarto di punto percentuale” nel primo trimestre: una crescita «moderata ma superiore ai due trimestri precedenti», spiega l'Authority dei conti pubblici. Che dà l'ok al quadro tendenziale tracciato dal Mef nel Dfp (è in un intervallo «accettabile»), ma con un avvertimento: «l'incertezza che caratterizza le previsioni è straordinariamente elevata» e «i rischi sono nettamente orientati al ribasso». In base alle simulazioni contenute nel Dfp, l'effetto dei dazi potrebbe ridurre il Pil 2025 al +0,3%, mentre uno shock finanziario appesantirebbe anche il debito, portandolo vicino al 140% nel 2027.

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