Un vecchio adagio recita che il lavoro nobilita l’uomo, anche se un’esasperazione di tale concetto può condurre a pratiche scorrette e ad un eccessivo e malsano stress. I più giovani, stando ai dati, non sembrano disposti a scendere a questo compresso e, dunque, nelle loro esperienze lavorative molto spesso si limitano a svolgere il loro compito senza eccedere. Ecco dunque che tendono a lavorare il necessario per non perdere il posto di lavoro, si rifiutano di fare straordinari così come di aderire a progetti speciali e di assumersi responsabilità non strettamente legate all’inquadramento previsto dal loro contratto.
È il cosiddetto quiet quitting che, nella sua traduzione letterale, vuol dire licenziamento silenzioso o, per meglio dire, abbandono silenzioso. Il lavoratore che assume tale predisposizione non eccede quasi mai i suoi orari e non va oltre le mansioni che gli sono richieste per evitare, secondo la maggior parte delle interpretazioni, il burnout, ovvero la sindrome correlata allo stress da lavoro che viene ritenuta una causa molto incidente sull’esaurimento delle risorse psichiche e fisiche del lavoratore, oltre a condurre a stati d’ansia, nervosismo e demoralizzazione.
Quiet quitting, cos’è
Il lavoratore che assume una predisposizione quiet quitting al lavoro, come detto, si guarda bene dall’eccedere i ruoli e i tempi per i quali è pagato, con il fenomeno che sembra prendere sempre più piede. Su TikTok, ad esempio, l’hashtag #quietquitting ha raggiunto in poco tempo 8,2 milioni di visualizzazioni, segnale questo che porta a comprendere come il fenomeno sia molto diffuso soprattutto nella cosiddetta generazione Z. Secondo diversi studi, i ragazzi più giovani, specie dopo la pandemia, ricercano per la loro vita un giusto equilibrio tra lavoro e privato, andando dunque a distruggere il concetto più antico della hustle culture per il quale, invece, le persone dovrebbero dedicare tutta la loro esistenza al lavoro. Sarebbe proprio quest’ultima predisposizione che, alla lunga, potrebbe portare al fenomeno del burnout.
Le cause del quiet quitting
Ad incidere sulla diffusione del quiet quitting ci sarebbero diverse cause, tra loro collegate. Anzitutto c’è un elemento di contesto sociale e storico, con i lavoratori che non credono più al fatto che attraverso il lavoro possano diventare degli individui migliori, modificando in meglio la proprio vita. Tutto il contrario, con il fenomeno che ha subito una rapida accelerazione dopo le continue crisi finanziarie e, soprattutto, la pandemia che per molti ha significato dover rivedere il proprio concetto di priorità. Oltre al lavoro, dunque, c’è anche un privato che va valorizzato e difeso, almeno quanto la propria attività retribuita.
Un'altra causa che spinge il quiet quitting è, senza dubbio, la sempre maggiore attenzione mostrata a livello globale alle problematiche psicofisiche delle persone. I lavoratori in abbandono silenzioso non accettano più di dover rischiare l’esaurimento per via dello stress lavorativo, ma preferiscono fermarsi molto prima e limitarsi solo ai propri compiti. Tale aspetto è molto evidente soprattutto nella generazione Z: una ricerca condotta da Microsoft evidenzia che il 54% di questi ragazzi sta pensando di lasciare il proprio posto di lavoro, contro il 41% dei dipendenti più anziani. Il burnout si conferma dunque un rischio molto avvertito soprattutto dai professionisti tra i 20 e i 30 anni.
In ultimo, non certo per importanza, c’è l’aspetto legato alla malasanità di molti ambienti di lavoro, spesso gestiti da manager incapaci di comprendere le esigenze del proprio team. Così come suggerito dalla Harvard Business Review, il quiet quitting non riguarderebbe tanto la volontà dei dipendenti di lavorare di più o di meno e con maggiore o minore coinvolgimento, ma la capacità dei manager di costruire un contesto all’interno del quale gli impiegati possano sposare in pieno le cause aziendali. Un ambiente di lavoro dal quale, in buona sostanza, non si veda l’ora di andare via non appena finito il proprio turno. I dati, in tal senso, parlano chiaro: nel report 2022 State of global workplace di Gallup emerge che soltanto il 14% dei dipendenti in Europa si ritiene davvero coinvolto nella propria attività lavorativa. Mancate motivazioni, manager non di livello e una forza lavoro demotivata e poco coinvolta nei processi aziendali, queste le principali cause del quiet quitting, con i lavoratori che cercano di bilanciare il bisogno di denaro con la cura della propria vita privata.
Come evitare il quiet quitting
Il quiet quitting è una pratica che interessa soprattutto i lavoratori dipendenti e che porta inevitabilmente alla creazione di un ambiente di lavoro ostile e, spesso, anche meno produttivo. I manager, così come i datori di lavoro, dunque, devono guardarsi bene dalla diffusione di questo fenomeno all’interno della loro azienda e, per farlo, ci sono una serie di fattori che devono essere presi in considerazione. Per prevenire il quiet quitting è necessario:
- dosare il carico di lavoro di ciascun dipendente, evitando cioè di affidare troppo ad un sola persona. Quest’ultima, infatti, tenderà ad avere più responsabilità e doveri rispetto a quelli per cui è pagata e potrebbe, alla lunga, decidere di tirarsi indietro o, comunque, essere colpita da burnout. Anche per quel che riguarda gli straordinari richiesti è necessario prestare grande attenzione: questi, come dice la parola, devono appartenere a periodi particolari contraddistinti da molto lavoro e non possono diventare una costante quotidiana;
- premiare il proprio team, soprattutto per quanto riguarda le retribuzioni salariali. Se ci sono delle discrepanze, infatti, potrebbero insorgere dei problemi all’interno del team stesso, demotivando chi prende meno soldi e, dunque, verrebbe favorito il quiet quitting. L’introduzione di ulteriori premi e benefit aziendali, oltre che una retribuzione in linea con il mercato del lavoro e il costo della vita, possono agevolare di molto la mancata diffusione dell’abbandono silenzioso;
- prestare ascolto alle richieste dei dipendenti, alle loro problematiche ed esigenze. Quando un lavoratore non viene ascoltato, infatti, diventa apatico, perde fiducia nei confronti dell’azienda e tende a lavorare il meno possibile;
- costruire relazioni efficaci con i lavoratori, mettendosi alla pari con questi pur nel rispetto dei ruoli e dell’anzianità di servizio. Se c’è disconnessione tra dipendenti e datori di lavoro è molto probabile che insorgano problemi e, dunque, che cali la produttività e l’attaccamento del dipendente all’azienda e ai suoi risultati.