Roma, 4 dicembre 2024 – L’uomo più ricco del mondo è senza stipendio. Almeno per ora, visto che la battaglia legale tra Elon Musk e una giudice del Delaware che prosegue da mesi, ha visto il patron di Tesla dover fare i conti con una nuova doccia gelata in relazione al maxicompenso di 55,8 miliardi di dollari che a giugno il consiglio di amministrazione aveva invece deciso a larga maggioranza di concedergli.
I fatti
Le origini della questione risalgono al 2017, quando invece di attribuire alla figura di Musk uno stipendio ‘tradizionale’, era stato orchestrato un pacchetto che prevedeva il riconoscimento di 12 tranche di stock option abbinate al raggiungimento di determinati obiettivi aziendali. Che, per inciso, sono stati tutti realizzati. Non tutti gli azionisti di Tesla hanno però accolto di buon occhio questo tipo di approccio, tanto che nel 2022 si sono aperte le porte dei tribunali su iniziativa di chi definiva questa forma di remunerazione eccessiva e irragionevole. Si è così aperta la partita legale che vede al centro la più alta remunerazione riconosciuta in una società quotata negli Stati Uniti.
Le nove azioni dell’aspirante rockstar
Tra le voci che si alzarono per contestare la scelta c’è stata fin da subito quella di Richard Tornetta, di professione industrial designer, ex batterista di una band metal, che aveva rivendicato il suo diritto di dire la sua. Suffragato dalle 9 azioni da lui possedute. Certo, le decisioni si prendono a maggioranza, ma quelle nove azioni avevano instillato il seme del dubbio. Non solo quelle, ovviamente. Perché ad opporsi sarebbero stati anche altri, a partire dal fondo sovrano norvegese per arrivare al sistema pensionistico dei dipendenti pubblici della California, tutti detentori di quote di Tesla.
Le motivazioni
Qui entra in scenda Kathaleen St. J. McCormick, giudice della corte del Delaware, che dopo aver già bloccato il provvedimento a gennaio, ha confermato il verdetto anche ora. Nonostante il fatto che ad approvare il mega riconoscimento economico sia stato oltre il 70% del board della stessa Tesla, escludendo peraltro Musk e il fratello. Una decisione a così larga maggioranza, nei mesi scorsi aveva fatto cantare vittoria al multimiliardario, che però nelle ultime ore si è visto sbattere per la seconda volta la porta in faccia. La motivazione della giudice (espressa in un documento di 101 pagine) riguarda il fatto che il consiglio di amministrazione si sarebbe nei fatti trovato in una condizione di sudditanza nei confronti di Musk. Temendo per esempio le conseguenze che avrebbero potuto arrivare per l’azienda da una eventuale bocciatura del piano. Comunque la si voglia vedere, è evidente che il ruolo di Musk in Tesla è stato ed è cruciale. Tanto più in un contesto come quello attuale nel quale il multimiliardario grazie al suo feeling con Trump pare destinato a ottenere una crescente influenza anche in ambito politico. Un eventuale disimpegno di Musk da Tesla avrebbe dunque certamente delle conseguenze per l’azienda, che il consiglio di amministrazione avrebbe tentato di scongiurare approvando la proposta del maxi compenso. Sull’altro lato della medaglia, resta però la stessa questione: l’argomentazione con la quale Musk rivendica il lauto emolumento sta proprio nel chiedere che gli venga riconosciuto il ruolo essenziale da lui giocato nello sviluppo di Tesla e nel cambiamento di paradigma dell’intero mercato delle auto elettriche a livello globale.
Gli scenari futuri
Di fatto Musk, almeno nel breve periodo, dovrà rinunciare ad aggiungere al suo in ogni caso esorbitante patrimonio di circa 350 miliardi di dollari, gli ulteriori miliardi legati all’operazione. In più deve fare i conti con la beffa di pagare spese legali per 350 milioni di dollari. Difficile che il vulcanico imprenditore si accontenti, rinunci, o cerchi di mediare una soluzione. Tutte queste strade sono ovviamente percorribili, ma decisamente meno probabili rispetto ad altre. Quali? L’intera partita potrebbe essere riproposta davanti a una corte del Texas, dove è stata trasferita la sede legale di Tesla. In questo caso l’iter dovrà però essere riavviato dall’inizio. Un’altra opzione può essere quella rivolgersi alla Corte Suprema. In questo caso il margine di manovra potrebbe essere legato al rischio di creare un precedente decisamente ingombrante che potrebbe dissuadere le aziende dall’investire in Delaware temendo rischi e limitazioni alle proprie possibilità di manovra, a partire da temi cruciali come quelli legati ai compensi dei loro vertici. Anche in questo caso però servirebbe tempo. Circa un anno, probabilmente.
Il precedente riferimento al caso italiano
Se in ogni caso Musk non avrà comunque difficoltà nel momento in cui ci sarà da pensare al budget per i regali di Natale, c’è già chi, dalla nostra parte dell’oceano – ripesca le parole recentemente pronunciate dall’imprenditore statunitense in relazione all’Italia. Commentando la decisione dei giudici sul caso dei migranti trasferiti in Albania, aveva infatti contestato apertamente e aspramente l’intervento dei togati del nostro Paese. Ora ha tutte le ragioni per concentrarsi sui pareri che arrivano dal Delaware.