Roma, 17 novembre 2024 – I dipendenti pubblici italiani guadagnano in media mille euro in meno rispetto alla media degli stipendi dei loro colleghi nell’Unione europea. Nonostante un aumento del 23% in 10 anni, le retribuzioni della Pa del nostro Paese non sono al passo con quelli del resto d'Europa: 1.978 euro per i dipendenti italiani contro i 2.973 euro dei colleghi stranieri. E anche se la crescita dell’Italia è di poco più bassa rispetto a quella della Germania (+25%), i dipendenti tedeschi vantano una retribuzione media che per il 2024 è pari a 4.562 euro, 2.584 euro in più di un dipendente pubblico italiano. Più contenuti gli aumenti della Francia (+12%), che ha comunque uno stipendio medio pari a 2.729 euro, in linea con la media Ue.
Sono queste le principali differenze salariali che emergono da un’elaborazione su dati Eurostat realizzata dal Centro studi FLP, la federazione italiana dei lavoratori pubblici e del pubblico impiego, presentata ieri durante il congresso nazionale del sindacato. L’analisi FLP prende in considerazione anche l’uso del canale digitale per soddisfare le esigenze dei cittadini-utenti e delle imprese. Ne emergono dati che evidenziano la necessità di una profonda trasformazione del settore. “Quello che osserviamo – spiega Marco Carlomagno, segretario generale della FLP – è frutto di un mix negativo, fatto di ripetuti e caotici interventi legislativi che, unitamente al blocco della contrattazione, durato per circa 10 anni, ha burocratizzato sempre più le amministrazioni, complicato il rapporto con i cittadini e le imprese, frenato le retribuzioni, svilito il personale e il suo ruolo. Con l’ipotesi del nuovo contratto collettivo nazionale delle funzioni centrali firmato il 6 novembre e soprattutto con le prossime tornate contrattuali che contiamo di attivare a breve, visti gli stanziamenti previsti nella legge , lavoreremo per colmare questo gap”.
Attrattività zero per i giovani
Dall’indagine emerge una mancanza di appealing dell’intera Pubblica Amministrazione italiana nei confronti dei giovani. L'analisi FLP, infatti, basandosi sui dati del report OCSE “Government at a Glance 2021”, osserva che la quota di dipendenti tra i 18 e i 34 anni nelle amministrazioni centrali è ferma al 2,5% e che l’Italia è penultima tra i Paesi OCSE dove la media è di poco superiore al 19%. Fra i Paesi europei solo la Grecia fa peggio con 1,8%. Lontanissimi, neanche a dirlo, dai Paesi del G7: il dato migliore è quello del Giappone con il 27%.
Secondo una stima FLP su dati Aran emerge che in totale nella Pubblica amministrazione italiana (3,2 milioni di dipendenti) gli under 35 sono 336.598 e rappresentano il 10,4%, percentuale che si abbassa ulteriormente se guardiamo alla fascia 18-29 anni, che con 155mila unità non arriva al 5% del totale. La classe di età più rappresentata è quella 50-59 anni con il 39,1%, 1,2 milioni di dipendenti.
“Da tempo ci battiamo perché vengano adottati e sviluppati modelli organizzativi e strumenti contrattuali che possano rendere più attrattive per i giovani e per le nuove professionalità le nostre pubbliche amministrazioni, oggi ingessate da ordinamenti professionali arcaici e modelli organizzativi vetusti - incalza Carlomagno - Bisogna invece adottare nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che mettano insieme digitalizzazione, innovazione, creatività, utilizzando tutte le forme di lavoro da remoto e quelle legate alla flessibilità oraria”.
Servizi ai cittadini scarsamente digitalizzati
E sulla digitalizzazione come strumento di semplificazione per il cittadino e le imprese, l’Italia non va meglio. Analizzando, infatti, lo stato digitale della nostra PA nei confronti del resto d’Europa, dallo studio FLP emerge come l’Italia stia ancora rincorrendo gli altri Paesi. “Il nostro Paese sta scontando gli effetti di una condizione che ha comportato un profondo ritardo e mancate innovazioni, duplicazioni organizzative, con ricadute negative nei confronti della qualità dei servizi e della prestazioni rese a cittadini ed imprese”, insiste Carlomagno. L'indice DESI, strumento della Commissione Europea per misurare la digitalizzazione dell'economia e della società, infatti, assegna all'Italia un punteggio di 68,3 su 100 per quello che riguarda la presenza di servizi pubblici digitali per i cittadini, che equivale a un 24º posto. Solo 4 Paesi fanno peggio dell'Italia nell'Unione europea: Bulgaria, Croazia, Polonia e Romania.
Parlando, invece, di servizi pubblici digitali per le imprese, la situazione non cambia. L'Italia presenta un punteggio di 76,2 e solo Ungheria, Polonia, Croazia e Romania fanno peggio. Un dato generale che si riflette direttamente sull'accessibilità digitale della PA. Stando a un’indagine Confartigianato su Eurostat e Eurobarometro, riletta da FLP, emerge che solo il 41,3% degli italiani interagisce con gli enti pubblici attraverso internet, in Europa la media è del 54,3%. Mentre il 53% degli enti locali (regioni, province, città metropolitane, comuni, Asl, ospedali) ha un sito internet solo informativo e non abilitato al dialogo con l’utenza. E solo il 30% permette pagamenti online sul proprio portale.
“Vanno digitalizzati e ripensati i processi, mettendo al centro dell’azione riformatrice la professionalità, il senso di appartenenza, valorizzando la consapevolezza del personale di essere al servizio del Paese, che ancora è molto diffusa all’interno delle amministrazioni, nonostante anni di mancati investimenti; bisogna rilanciare la formazione, che ci vede agli ultimi posti dei Paesi industrializzati, riaprire i percorsi di carriera”, conclude Carlomagno.