Roma, 19 agosto 2023 – Energie rinnovabili, punto e a capo. Sembra un paradosso, ma in Italia chi ha intenzione di sfruttare il sole o il vento per produrre energia deve impegnarsi in una maratona piena di ostacoli e trabocchetti. Con il risultato che la stragrande maggioranza dei progetti, con tanto di finanziamento già predisposto, è destinata a rimanere al palo. In attesa di visti e certificati, delibere regionali o autorizzazioni della soprintendenza. Eppure, il 2030, con i target già messi nero su bianco dall’Unione Europea, è praticamente dietro l’angolo. Per rispettare la tabella di marcia e dare un contributo alla cosiddetta "decarbonizzazione" del vecchio Continente, dovremmo correre come matti per installare pale eoliche o pannelli fotovoltaici. E, invece, continuiamo ad andare avanti con il piede sul freno. Tanto che, secondo i dati diffusi da Terna, nel 2022 sono entrati in esercizio nuovi impianti rinnovabili per soli 3 GW (1,5 GW in più rispetto all’anno precedente) di cui 2, 5 GW di fotovoltaico e appena 500 Mw di eolico.
Ma il dato è ancora più preoccupante se si pensa che la maggior parte degli impianti solari sono di tipo domestico, di piccola taglia, i classici pannelli sui tetti, frutto delle iniziative dei singoli cittadini che hanno beneficiato del superbonus e non di investimenti su larga scala. Quelli che, in sostanza, sono necessari per fare un salto di qualità nelle installazioni.
Del resto, con le attuali leggi e leggine, c’è poco da fare. L’iter per le autorizzazioni è lungo e complicato, bisogna entrare e uscire da almeno una trentina di uffici per ottenere i relativi pareri. E a nulla servono neanche i termini previsti dalla procedure: sono normalmente disattesi. Così, per un impianto eolico, sono necessari in media 5 anni, il doppio rispetto ai requisiti di legge. Per avere l’esatta dimensione del fenomeno è sufficiente dare una sbirciata all’ultimo rapporto di Legambiente sulle rinnovabili.
Gli impianti in lista di attesa alla fine del 2022 erano 1.364, il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Inoltre, l’anno scorso, appena l’1% delle pratiche ha ottenuto il disco verde, il dato più basso degli ultimi 4 anni se si pensa che nel 2019 a ricevere l’autorizzazione sono state il 41% delle istanze, per poi scendere progressivamente al 19% nel 2020, al 9% nel 2021. Mentre, per l’eolico onshore è andata perfino peggio: l’anno scorso non è stata portata a termine nessuna procedura. E nel 2023 le richieste di connessione per l’eolico, secondo l’ultimo dato Terna, sono arrivate a 1.828.
Spesso, a bloccare tutto, sono le amministrazioni regionali, che danno l’impressione di non essere abbastanza ingaggiate nella transizione ecologica. Ma non basta. L’installazione di nuova capacità rinnovabile viene gestita secondo il sistema delle aste, altro grave ostacolo che frena gli investimenti. Eppure basterebbe una semplice norma per rimuovere la riduzione annuale delle tariffe a base d’asta, ancora prevista dalla legislazione, e pianificare le aste quinquennali previste per legge, specifiche per tecnologia. Ovviamente, per invertire la rotta e recuperare il terreno perduto, servirebbero altre quattro cose. Prima tutto una forte semplificazione dei processi autorizzativi. Poi, la rimozione delle riduzioni tariffarie previste per il repowering degli impianti esistenti. Infine, eliminare le misure di claw-back, ovvero di recupero, che colpiscono alcune tipologie di rinnovabili e bilanciare la tutela del paesaggio con gli obiettivi di lotta al cambiamento climatico, riequilibrando il ruolo del Ministero della Cultura e rendendo le Regioni protagoniste consapevoli del percorso di decarbonizzazione.