Giovedì 21 Novembre 2024
VITTORIO BELLAGAMBA
Economia

Cgia, per gli ‘onesti’ pressione fiscale al 47,4%

Secondo l'ufficio studi sono “inattendibili” le statistiche sull'evasione dei lavoratori autonomi

L'andamento della pressione fiscale (Tabella Cgia Mestre)

L'andamento della pressione fiscale (Tabella Cgia Mestre)

Milano, 8 gennaio 2024 – I contribuenti italiani fedeli al fisco, nel corso del 2023, hanno subìto una pressione fiscale reale del 47,4 per cento: quasi 5 punti in più rispetto al dato ufficiale, che l’anno scorso si è attestato al 42,5 per cento. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Perché questa differenza?

Il nostro Pil, come del resto quello di molti altri Paesi dell’Unione Europea, comprende anche gli effetti dell’economia non osservata il cui contributo alle casse dello Stato è per definizione nullo. Pertanto, alla luce del fatto che la pressione fiscale è data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, se da quest’ultimo storniamo la componente riconducibile al sommerso, il peso del fisco in capo ai contribuenti onesti sale inevitabilmente, consegnandoci un carico fiscale reale per il 2023 del 47,4 per cento. Si tratta di un livello di 4,9 punti superiore a quello ufficiale che, invece, si è attestato al 42,5 per cento.

Meno tasse, ma pochi se ne sono accorti

Nel 2023 il prelievo fiscale è finalmente sceso: rispetto all’anno precedente la pressione fiscale è diminuita di 0,2 punti percentuali, grazie alla rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni dell’Irpef e al modesto aumento del Pil. Analogamente, anche nel 2024 il peso complessivo delle tasse e dei contributi sulla ricchezza prodotta nel Paese dovrebbe scendere. Tuttavia, è verosimile ritenere che la gran parte degli italiani, purtroppo, non se ne sia accorta, poiché allo stesso tempo, è cresciuto il costo delle bollette, della Tari, dei ticket sanitari, dei pedaggi autostradali, dei servizi postali, dei trasporti, etc. Insomma, se le tasse sono diminuite, il peso delle tariffe invece è salito creando un effetto distorsivo. In sintesi, i contribuenti non hanno potuto beneficiare pienamente della diminuzione della pressione fiscale perché, nel frattempo, sono aumentate le tariffe che, a differenza delle tasse, statisticamente non vengono incluse tra le voci che compongono le entrate fiscali.

Ecco perché la pressione fiscale reale è al 47,4%

Nel 2021 (ultimo dato disponibile) l’economia non osservata ammontava a 192 miliardi di euro (pari all’11,7 per cento del valore aggiunto nazionale), di cui 173,8 miliardi erano attribuibili al sommerso economico e altri 18,2 alle attività illegali. Nei dati riportati in questa news, l’Ufficio studi della CGIA ha ipotizzato, prudenzialmente, che l’incidenza dell’economia sommersa e delle attività illegali sul Pil nel biennio 2022-2023 non abbia subito alcuna variazione rispetto al dato 2021.

I calcoli del MEF sono comunque esatti

Ribadendo che la pressione fiscale ufficiale è data dal rapporto tra le entrate fiscali ed il Pil, se dalla ricchezza del Paese scorporiamo la quota riconducibile all’economia non osservata che non apporta gettito alle casse dello Stato, il Prodotto interno lordo diminuisce (quindi si riduce il valore del denominatore), facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto tra il gettito fiscale e il Pil. L’Ufficio studi della CGIA tiene comunque a precisare che la pressione fiscale ufficiale calcolata anche dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (nel 2023 al 42,5 per cento) rispetta fedelmente le disposizioni metodologiche previste dall’Eurostat.

“Inattendibili” le stime sull’evasione degli autonomi

I ricercatori della Cgia definiscono invece “inattendibili” le stime sull'evasione fiscale dei lavoratori autonomi. “Nei giorni scorsi – si legge nella nota diffusa dalla Cgia – è stato aggiornato il report sull’economia sommersa e sull’evasione fiscale e contributiva presente in Italia. I dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) stimano in 83,6 miliardi4 di euro il tax gap presente nel Paese. Sebbene il mancato gettito rispetto agli anni precedenti sia in calo, la tipologia di imposta maggiormente soggetta ad evasione in Italia rimane l’Irpef dei lavoratori autonomi, per un importo pari a 30 miliardi di euro che corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta del 67,2 per cento. Questo vuol dire che, secondo i tecnici del MEF, i lavoratori autonomi versano solo un terzo dell’Irpef che teoricamente dovrebbero pagare all’erario. Senza entrare nel merito della metodologia di calcolo utilizzata che, a nostro avviso, appare alquanto discutibile, ci limitiamo a dimostrare l’“inattendibilità” di questo risultato mediante alcune semplici considerazioni. Secondo le dichiarazioni dei redditi dei lavoratori autonomi in contabilità semplificata del Nord (praticamente artigiani e commercianti), nell’anno di imposta 2021 gli stessi hanno dichiarato mediamente 33 mila euro lordi. Segnaliamo che oltre il 70 per cento di queste partite Iva è composto dal solo titolare dell’azienda (in altre parole lavora da solo). Bene. Se, come sostiene il MEF, queste attività evadono poco più del 67 per cento dell’Irpef, quanto dovrebbero dichiarare se fossero rispettosi delle richieste dell’erario? Il 115 per cento in più, vale a dire poco più di 73 mila euro all’anno. Ora, come possono “raggiungere” nella realtà una soglia di reddito così elevata se la stragrande maggioranza lavora da solo, quindi è poco più di un lavoratore dipendente, e al massimo può lavorare 10-12 ore al giorno, senza contare che durante questo nastro orario deve rapportarsi anche con i clienti, con i fornitori, con altre aziende, con il commercialista, con la banca, con l’assicurazione e come tutti i comuni mortali, può infortunarsi, ammalarsi, prendersi delle ferie, etc., etc.?”.

La stima sull’evasione non include i “minimi”, i professionisti e il settore domestico

Ovviamente, nessuno può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle sacche di evasione che vanno assolutamente contrastate. Tuttavia, le stime messe a punto dal MEF non convincono, anche alla luce del fatto che l’analisi non include il tax gap riconducibile agli autonomi esclusi dal pagamento dell’Irap. Vale a dire quelli che hanno scelto il regime fiscale dei “minimi”, una buona parte delle imprese agricole, i professionisti privi di autonoma organizzazione e il settore dei servizi domestici. Complessivamente stiamo parlando di ben oltre la metà dei lavoratori indipendenti presente nel nostro Paese (circa 2,5 milioni). Ebbene, se fosse considerata anche l’evasione di questi ultimi, che picco toccherebbe l’evasione del cosiddetto popolo delle partite Iva? Appare pertanto evidente che i dati presentati dal MEF nei giorni scorsi siano poco “attendibili”.