Sul versante del fisco, in Italia è Davide che paga più di Golia, ossia sono le piccole e medie imprese a versare ogni anno all’erario una cifra 120 volte superiore a quella dei "giganti del web" con base a livello nazionale. A permettere questo è la pratica di trasferire buona parte degli utili ante imposte realizzati in Italia nei Paesi a fiscalità di vantaggio. E non pare che questo divario potrà diminuire a breve, con l’introduzione della Global minimum tax, l’aliquota del 15% sulle multinazionali, a causa della sua applicazione a macchia di leopardo tra gli Stati Ue.
Grazie a queste operazioni elusive, calcola la Cgia di Mestre elaborando i dati di Mediobanca, l’erario ha incassato solo le briciole dai colossi web, circa 25 con una sede in Italia, ma che hanno versato 206 milioni di tasse, mentre le nostre Pmi pagano ogni anno 24,6 miliardi. Vero è che le aziende italiane in esame producono un fatturato annuo 90 volte superiore a quello delle big tech, ma in termini di imposte la proporzione sale a 120 volte di più, con un tax rate effettivo che sfiora il 50%, mentre per i "big" si attesta al 36%.
Sebbene da quest’anno sia arrivata la Global minimum tax, secondo il dossier curato dal Servizio Bilancio della Camera il gettito previsto dovrebbe essere di 381,3 milioni nel 2025, nel 2026 di 427,9 e nel 2027 di 432,5, fino ai 500 previsti nel 2033. Ciò a causa della sua – per ora – limitata applicazione: nel 2024 interesserà solo 19 Paesi Ue, Spagna e Polonia si adegueranno dall’anno prossimo, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto una proroga fino al 2030.
Red. Eco.