Sabato 21 Dicembre 2024
Nino Femiani
Economia

Pizza, l’impasto vale oro In Italia 127mila imprese

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«Ma tu vulive ‘a pizza, ‘a pizza, ‘a pizza… , cu ‘a pummarola ‘ncoppa, ‘a pizza e niente cchiù!». La canzone, che nel 1966 vinse il secondo posto al Festival di Napoli grazie a un’insospettabile accoppiata, Aurelio Fierro e Giorgio Gaber, fa da sfondo al cibo italiano più identitario nel mondo. Un prodotto che, oltre ad essere simbolo del ‘made in Italy’ (pizza è la parola italiana più conosciuta all’estero), è anche una miniera d’oro. Leggendo l’ultima completa ricerca sul settore (2018), firmata da Centro Studi Cna (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) su dati di Infocamere e Infoimprese, si scopre che la produzione giornaliera in tutto il Paese è di 8 milioni di pizze, e il fatturato annuo è di 15 miliardi di euro per un business che supera i 30 miliardi.

Le imprese che vendono pizza sono quasi 127 mila di cui 76.357 sono veri e propri esercizi di ristorazione, 40mila ristoranti-pizzerie e circa 36.300 bar-pizzerie. I pizzaioli (la cui arte è stata inserita dal 2017 nella prestigiosa lista del Patrimonio dell’Umanità Unesco) impiegati nell’attività sono 105 mila, ma raddoppiano nei fine settimana. Di questi 70 mila sono italiani, 20 mila egiziani, 10 mila marocchini e 5 mila dell’Est Europa, Asia e altri. La pizza preferita dagli italiani è quella tonda, tradizionale e cotta a legna nel forno. Vince poi la pizza tradizionale (marinara, margherita, napoletana o capricciosa) su quella gourmet: a scegliere la prima sono 8 italiani su 10. La fascia di prezzo non supera, in un caso su due, i 7 euro ma c’è una fascia di mercato (4%) oltre la soglia dei dieci euro per impasti speciali e ingredienti ricercati (lardo di colonnata, tartufo, frutti di mare ecc.). È a Milano che la pizza è più cara, mentre la più economica si mangia a Reggio Calabria.

Il 75% della clientela sceglie di gustare la specialità al tavolo della pizzeria, ma cresce anche la voglia di pizza surgelata da pescare nei banconi del freddo al supermercato e da consumare a casa: quasi 48 milioni di kg pro-capite acquistati per una spesa di 300 milioni di euro, il 2,7% in più rispetto al 2017 (5,5 miliardi di dollari negli Usa). Dal punto di vista della distribuzione territoriale ci sono dati anche un po’ sorprendenti. A leggere quelli diffusi per il 2019 dai promotori di Tuttopizza è la Val D’Aosta al primo posto per incremento del numero delle pizzerie, anche se la Campania, regno dei pizzaiuoli, occupa il primo posto per numero di attività, con 17.401 esercizi.

La Campania rappresenta il 16% delle attività seguita da Sicilia (13%), Lazio (12%), Lombardia e Puglia (10%). Una sorpresa arriva dal rapporto pizzerieabitanti. Stavolta a primeggiare è l’Abruzzo, con un’attività ogni 267 residenti. Precede Sardegna (un’attività ogni 273 abitanti), Calabria (285), Molise (307) e Campania (335). Ma se alziamo gli occhi e guardiamo quello che succede nel mondo, ci accorgiamo che il paese dove più si impazzisce per la pizza è il Brasile (un brasiliano su tre quando mangia fuori va in pizzeria), seguito da Svezia e Spagna. Quanto vale il mercato mondiale della pizza? Secondo il sito Statistic Brain (www.statisticbrain.com), ogni anno vengono vendute circa 5 miliardi di pizze in tutto il mondo, con una media annua di 46 fette di pizza mangiate per persona. Praticamente vengono consumate in tutto il mondo 350 fette di pizza al secondo. Numeri che, osservati dalla prospettiva degli affari, diventano da capogiro. A livello planetario, infatti, la pizza e il suo indotto raggiungono un valore complessivo di circa 139 miliardi di dollari (45,73 miliardi di dollari solo negli Usa).

Non è tutto oro quello che luccica. Ci sono prodotti che finiscono nel fumante cibo di pasta e che da qualche tempo allarmano i consumatori. Dalla mozzarella lituana al concentrato di pomodoro cinese, dall’olio tunisino al grano ucraino, dal basilico indiano alla mozzarella sudafricana: purtroppo quasi due pizze su tre servite nel mondo sono ottenute da un mix di ingredienti provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna garanzia per i consumatori.