Lunedì 22 Luglio 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Pensioni, uscita anticipata sempre più lontana. E l’assegno rischia di calare ancora

L’indagine di Moneyfarm: le regole sono cambiate, non solo per chi è vicino all’età pensionabile. E la previdenza integrativa rimane un miraggio

Pensioni, foto generica dell'Inps

Pensioni, foto generica dell'Inps

Roma, 6 febbraio 2024 – Rischia di allontanarsi il momento del pensionamento per milioni di giovani. E rischia di diventare più magro l’assegno per chi riuscirà a conquistare il traguardo. Anche perché la previdenza integrativa rimane una ciambella di salvataggio utilizzata da pochi. L’ultima indagine effettuata da Moneyfarm, società di consulenza finanziaria indipendente con approccio digitale, disegna un quadro di una vera e propria emergenza pensioni. Nel 2024 in Italia il rapporto spesa pensionistica/PIL - uno degli indici con cui si misura la sostenibilità del welfare pubblico - salirà al 16,2% dal 15,8% del 2023: un aumento dovuto anche alla rivalutazione delle pensioni per effetto dell’inflazione e che inciderà in modo significativo sul futuro del sistema pensionistico e dei cittadini.

Basti pensare che nel 2010 si prevedeva un rapporto spesa/PIL del 15% per il 2020 e attorno al 16% per il 2045: un solo punto percentuale equivale a circa 19 miliardi di euro annui di maggiore spesa pensionistica. La situazione è così delicata – scrivono gli analisti della società di consulenza - che la legge di Bilancio del 2024, per la prima volta dalla Riforma MontiFornero del 2011, ha modificato le regole non solo per chi è vicino all’età pensionabile (Quota 103 e Opzione Donna), ma anche per coloro che hanno cominciato a lavorare a partire dal 1996 e che rientrano nel sistema di calcolo contributivo.

Per questi lavoratori “giovani” si allontana la possibilità di pensione anticipata tre anni prima del requisito di vecchiaia (oggi pari a 67 anni): il valore della pensione dovrà infatti essere pari ad almeno 1.320 euro netti al mese (3 volte l’assegno sociale, prima era 2,8); tale soglia scende leggermente per le lavoratrici con un figlio (2,8 volte) e con due o più figli (2,6 volte). Non basta: negli anni dell’anticipo (fino al compimento dei 67 anni), la pensione non potrà essere più elevata di circa 2.230 euro netti al mese (38.910 euro lordi all’anno, pari a 5 volte il trattamento minimo). Buone notizie solo per chi avrà pensioni basse: si restringe infatti la platea di chi rischia di andare in pensione a 71 anni e oltre con la pensione di vecchiaia contributiva (prima la soglia minima di pensione era di 672 euro netti al mese, mentre oggi è scesa a 534). Secondo gi esperti dell’Ocse chi entra oggi nel mondo del lavoro passerà circa un terzo della propria vita futura in pensione ma, a partire dal 2030 circa, la situazione per i conti pubblici corre il rischio di complicarsi ulteriormente con l’ingresso in pensione di molti Boomers. La previdenza integrativa, però, è ancora poco diffusa: ad oggi solo 26 italiani su 1003 stanno attivamente mettendo da parte risparmi in strumenti di previdenza complementare e nel periodo 2007-2022 solo il 22% del TFR è stato destinato a questo tipo di strumenti. Tra l’altro, a fine 2022, si registrano quasi 2,5 milioni di “silenti”, ossia persone che possiedono un fondo pensione ma che hanno smesso di versare, dei quali circa la metà da oltre 5 anni.

Se guardiamo l’identikit dell’aderente medio alla previdenza integrativa, scopriamo che si iscrive tardi, versa poco, con un basso rischio e alla fine preferisce riscuotere l’intero capitale

E’ maschio (al 62%), ha 47 anni, versa 177 euro al mese, finora ha messo da parte 22.180 euro e al termine preferisce riscattare l’intero capitale. Se differenziamo per genere e per età, gli uomini mensilmente versano di più (195 euro) delle donne (158 euro). Il contributo medio sale all’aumentare dell’età e quindi delle disponibilità economiche. È solo il 7,8% circa la quota parte degli aderenti che riesce a versare il massimo della deducibilità concesso dal trattamento fiscale agevolato (5.164 euro annui). A livello nazionale, a fine 2019, sono stati accantonati 206 euro miliardi in previdenza integrativa (22.180 euro medio per iscritto); per quasi una posizione su quattro, però, il capitale accumulato non supera i 1.000€ euro complessivi. Eppure, osserva Andrea Rocchetti, Global Head of Investment Advisory di Moneyfarm, “i dati che emergono mostrano quanto sia necessario e urgente occuparsi da subito del proprio futuro, integrando la pensione pubblica con una qualche forma di previdenza complementare. L’industria del risparmio gestito è chiamata ad attivarsi per stimolare la consapevolezza dell’inadeguatezza della sola previdenza pubblica e ad accompagnare lavoratori e non nella scelta della forma di pensione integrativa più adatta alle loro esigenze, aiutandoli a comprendere meglio le caratteristiche dei prodotti presenti sul mercato, i loro benefici e a superare l’inerzia che spesso impedisce di pensare concretamente al proprio benessere futuro. Nei Paesi dove la previdenza integrativa è più diffusa, il cittadino ha mediamente più familiarità con il concetto di pianificazione finanziaria e sa riconoscere il valore della consulenza professionale”