Sabato 27 Luglio 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Pensioni, un miraggio per i giovani. L’Ocse: "Lavoreranno fino a 71 anni"

Solo la Danimarca avrà una soglia più alta. Aliquota di contribuzione obbligatoria, in Italia la più elevata: il 33%

Roma, 14 dicembre 2023 – A forza di riforme e riassetti, ma, soprattutto, del legame automatico stabilito tra aumento della speranza di vita e incremento dell’età pensionabile, i giovani italiani potranno andare in pensione solo quando raggiungeranno almeno i 71 anni di età, la soglia più elevata tra i Paesi Ocse dopo la Danimarca. A specificarlo sono gli analisti dell’Organizzazione internazionale nel Rapporto ’Pensions at a glance’.

"Per chi entra ora nel mercato del lavoro – si legge – l’età pensionabile normale raggiungerebbe i 70 anni nel Paesi Bassi e Svezia, 71 anni in Estonia e Italia e anche 74 anni in Danimarca. Nel 2023, l’età pensionabile legale in Italia è di 67 anni, in forte aumento dopo le riforme attuate durante la crisi finanziaria globale".

Il rovescio della medaglia è che si potrà contare su un importo della pensione rispetto allo stipendio al momento del ritiro di circa l’83% a fronte del 61% medio dell’Ocse. Il che, però, non fa i conti con il rischio di carriere discontinue e contratti precari, ma considera solo gli impieghi stabili e lunghi. Dunque, le strette degli ultimi decenni hanno funzionato. Al momento l’età "normale di pensionamento" è di circa 65 anni, in linea con la media Ocse (64,1). Ma per chi comincia a lavorare ora invece l’età media di uscita, a meno di nuove norme per l’anticipo, supererà di circa quattro anni la media Ocse.

"L’Italia è uno dei nove paesi Ocse – si legge – che vincolano il pensionamento legale per età con la speranza di vita. In un sistema contributivo tale collegamento non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse e per promuovere l’occupazione". Il problema è che le possibilità di andare in pensione prima dell’età pensionabile prevista dalla legge risultano molto vantaggiose.

L’età media di effettiva uscita dal mercato del lavoro nel 2022 è a 62,5 anni contro i 63,8 dell’area Ocse. E questo contribuisce alla seconda più alta spesa per la pensione pubblica tra i Paesi Ocse, al 16,3% del Pil nel 2021. "Sebbene l’aliquota contributiva sia molto elevata – si spiega – le entrate derivanti dai contributi pensionistici rappresentano solo l’11% circa del Pil e necessitano di ingenti finanziamenti fiscalità generale".

L’aliquota media di contribuzione effettiva per le pensioni nei paesi Ocse è del 18,2% del livello salariale medio nel 2022 con l’Italia che ha la quota obbligatoria più alta, al 33%. Seguono la Repubblica Ceca con il 28% e la Francia con il 27,8%. Il reddito medio delle persone di età superiore ai 65 anni in Italia, del resto, "è leggermente superiore a quella della popolazione totale" (al 103%) mentre è in media inferiore del 12% nell’area Ocse (all’88%). Ma un livello più elevato di aliquote contributive "potrebbe danneggiare la competitività dell’economia e una riduzione dell’occupazione totale". Certo è che, nonostante questo, nel 2025 la spesa per pensioni raggiungerà il 16,2% del Pil, la percentuale più alta tra i paesi Ocse: la media Ocse nelle previsioni per il 2025 è al 9,3% mentre per l’Ue a 27 sarà all’8,5%.