Sabato 11 Gennaio 2025
CLAUDIA MARIN
Economia

Pensioni, parla Durigon: “Nessun aumento dell’età, possibili uscite a 64 anni”

Il sottosegretario: “Interverremo per evitare che scattino i nuovi requisiti dal 2027”. Dopo le polemiche l’Inps cancella dalle simulazioni l’allungamento dei tempi

Roma, 11 gennaio 2025 – “Garantiamo che non ci sarà nessun aumento dell’età pensionabile o degli altri requisiti negli anni a venire”. A fissare un paletto rigido che ferma la soglia del pensionamento a 67 anni di età è Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, ma anche “l’uomo della previdenza” della Lega.

Da che cosa nasce, dunque, il caso degli incrementi dei requisiti nell’applicativo dell’Inps?

“L’Inps ha inserito erratamente nel suo applicativo previsionale, prima di qualsiasi decreto ministeriale che determinasse e stabilisse questa attività, l’aumento dei requisiti per il pensionamento. Ma posso dire fin da ora che per quanto ci riguarda l’età per la pensione di vecchiaia non salirà oltre i 67 anni né dal 2027 né dopo. E lo stesso vale per gli anni di contributi per la pensione cosiddetta anticipata”.

Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro
Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro

Dall’Istat, ma anche dalla Ragioneria che elabora il Rapporto sulle tendenze della spesa per pensioni, si registra, però, un aumento della speranza di vita.

“Sappiamo benissimo che la speranza di vita può variare e crescere anno dopo anno, nel 2024 di un mese, nel 2025 di due. E sappiamo che c’è una norma che la collega all’aumento dei requisiti pensionistici. Ma non è nostra intenzione far crescere l’età pensionabile oltre i 67 anni: interverremo, dunque, su questo quando sarà necessario agire, per bloccare gli aumenti”.

Agire entro la fine 2026, dunque, per evitare che scattino i nuovi requisiti dal 2027?

“Sì, abbiamo tempo per intervenire”.

Nell’anno in corso, invece, è prevedibile che si apra o si riapra il cantiere previdenza dopo che la recente legge di Bilancio ha di fatto prorogato le misure precedenti?

“In questa legge, però, abbiamo inserito una rilevante innovazione, che ha fatto fare un salto epocale al sistema: mi riferisco alla possibilità di collegare le prestazioni del primo e del secondo pilastro per raggiungere le soglie di trattamento pensionistico che consentono l’uscita anticipata a 64 anni. Superare gli ostacoli, anche culturali, della burocrazia dell’Inps e del Mef non è stato facile. Certo, sappiamo anche che l’intervento non è esaustivo perché riguarda coloro che hanno cominciato a lavorare dal 1996, che sono iscritti a fondi pensione e che hanno il calcolo interamente contributivo della pensione”.

È immaginabile l’estensione di questa possibilità a tutti i lavoratori?

“Ci dobbiamo mettere al lavoro per far sì che questa soluzione possa essere resa disponibile per tutti: va incontro a una serie di esigenze e bisogni crescenti dei lavoratori, a cominciare dalla copertura del rischio che possano avere pensioni pubbliche povere”.

Tornerete alla carica per sostenere qualche forma di adesione obbligatoria dei lavoratori ai fondi pensione?

“Le adesioni, soprattutto dei giovani che avrebbero più necessità, sono oggettivamente basse. Valutare la possibilità di una loro partecipazione in parte obbligatoria ci sembra una strada da perseguire, anche ai fini dell’educazione previdenziale”.

Sul piano del sistema più complessivo, quali novità strutturali dovremmo attenderci?

“Diciamo la verità: le quote hanno esaurito la loro funzione. A questo punto, fermo restando il non aumento dei requisiti per la pensione di vecchiaia e per quella con 42 o 41 anni e dieci mesi per uomini e donne, si può pensare di agire per estendere a tutti la possibilità di uscire a 64 anni oggi prevista per i lavoratori post ‘96. E questo ipotizzando il ricalcolo contributivo degli assegni, anche se stiamo lavorando per lasciare in questo caso ugualmente il sistema misto”.

In questo contesto che fine farebbe la vostra proposta di Quota 41?

“Quota 41, con la possibilità di lasciare il lavoro a 64 anni, perde di fatto, almeno in parte, la sua funzione. Si può immaginare di utilizzarla per le categorie più deboli o per le attività gravose”.

Come l’Ape sociale: resterebbe ugualmente valida?

“L’Ape sociale è un meccanismo che dà un ristoro modesto, ma che serve per le fasce alle quali si applica”.