Roma, 11 gennaio 2025 – È finita al centro del pasticcio-requisiti dell’Inps di questi giorni: parliamo della cosiddetta speranza di vita, con il connesso meccanismo che la lega all’aumento di età e contributi richiesti per andare in pensione. Vale la pena, dunque, capire che cosa sia l’aspettativa di vita e come influisca nel definire le regole previdenziali.
Il nesso tra speranza di vita e requisiti nasce nel 2009 all’epoca del governo Berlusconi, ma viene integrato e modificato, nel funzionamento, negli anni successivi sia dalla riforma Fornero sia dagli esecutivi che seguono quello di Mario Monti del 2011.
L’impostazione del sistema si basa sull’assunto che l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia e i requisiti contributivi per la pensione cosiddetta anticipata sono soggetti ad adeguamenti periodici, in funzione dell’andamento della speranza di vita. Il che vuol dire che se la speranza di vita cresce, crescono anche la soglia anagrafica da raggiungere per poter accedere alla pensione di vecchiaia e gli anni di contributi per poter uscire con il trattamento anticipato. In particolare, a partire dal 2019 l’adeguamento avviene con frequenza biennale (in precedenza era invece triennale) ma è stato pari a zero per i bienni 2021-2022, 2023-2024 e 2025-2026 perché non si sono registrati aumenti della speranza di vita e, anzi, per effetto del Covid, si sono avute riduzioni.
L’ultima versione della regola che presiede al meccanismo, nello specifico, prevede che l’adeguamento possa essere al massimo di tre mesi a biennio, con la possibilità di recuperare il mese eccedente in sede di adeguamenti successivi. Al contrario, se la speranza di vita si riduce o rimane ferma, come è avvenuto durante la pandemia, non scatta nessun aumento dell’età anagrafica.
Lo stop del nesso tra requisiti e speranza di vita, in effetti, per la pensione anticipata, però, deriva innanzitutto da una norma della legge di Bilancio per il 2019 che ha stabilito come gli adeguamenti all’aspettativa di vita sono stati sospesi fino al 31 dicembre 2026 quando, salvo nuovi interventi normativi, il requisito contributivo avrebbe dovuto continuare a crescere per il ripristino del meccanismo.
Il meccanismo, dunque, per entrambe le prestazioni dovrebbe ripartire dal 2027 in avanti. Ma, a questo punto, per capire che cosa accadrà dal 2027 si dovrà attendere qualche mese, anche se il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, ha più volte ripetuto che non vi sarà nessun incremento.