SE NON è un avvertimento «specifico», diretto insomma a chi in Italia vuole rimettere mano alla riforma Fornero, ci manca poco. L’avviso contenuto nel Bollettino economico della Bce è netto e sollecita a non allentare i bulloni dei riassetti previdenziali degli ultimi anni. Le parole usate evocano i «rischi connessi all’inversione delle riforme pensionistiche adottate».
I «FLESSIBILISTI» di casa nostra, dunque, sono avvertiti. E, a scorrere l’analisi degli economisti-Bce, ci si rende conto che anche l’argomento delle penalizzazioni sugli assegni, utilizzato dai sostenitori delle uscite anticipate, non sarebbe comunque ben accetto. Nel concreto le stime prodotte dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, sui costi della soluzione Damiano-Baretta (taglio del 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 66) o della cosiddetta «quota 100» non lasciano molto spazio di manovra: parliamo di cifre oscillanti tra gli 8,5 e i 10,6 miliardi di euro. In teoria, sempre a seguire i criteri degli uomini di Mario Draghi, ci potrebbe essere qualche spiraglio proprio per l’ipotesi del numero uno dell’Istituto di Via Ciro il Grande: il calcolo della prestazione su base interamente contributiva per chi volesse andare via prima delle scadenze prefissate. Semplice: si prende in relazione ai versamenti fatti e all’età che si ha. Non ci dovrebbe neanche essere un’età minima, perché tutto dovrebbe tornare sempre e comunque. Peccato, però, che siamo in presenza di un sistema contributivo solo virtuale, perché serve solo per il calcolo della pensione, non certo per il finanziamento del sistema, che era e rimane «a ripartizione». Diciamolo una buona volta: ancora oggi le pensioni attuali sono pagate con i contributi dei lavoratori attuali. E, allora, tanto gli economisti della Bce e Boeri quanto i «flessibilisti» sanno bene che oltre questo gran dibattito ci sono altre e più profonde partite da considerare: la dinamica demografica (Italia a crescita zero) e quella relativa all’occupazione e al Pil (siamo a crescita piatta), per citare le variabili principali. E, dunque, appare lungimirante la considerazione che faceva qualche giorno fa in un convegno il professor Mauro Marè, consigliere di Padoan e presidente di Mefop (la società pubblica per lo sviluppo dei fondi pensione): «Forse è arrivato il momento di pensare davvero a una pensione di base pagata dalla fiscalità generale».
di Raffaele Marmo