Roma, 29 dicembre 2024 – La vera riforma complessiva delle pensioni è rinviata all’anno che sta per cominciare. E così la manovra approvata ieri si limita a una sorta di ordinaria manutenzione e aggiornamento delle regole, delle misure e degli interventi di flessibilità operativi nel corso del 2024. Con due innovazioni che riguardano la rivalutazione più favorevole dei trattamenti e la possibilità, per i giovani, di cumulare la rendita del primo e del secondo pilastro previdenziale per uscire a 64 anni di età.
QUOTA 103
Tutto confermato, dunque, per i canali esistenti per la cosiddetta flessibilità in uscita. Viene prorogata Quota 103, come somma di 62 anni di età e 41 di contributi, per poter lasciare il lavoro in anticipo. Ma vengono mantenuti fissi anche i paletti: dal tetto all’assegno, pari a quattro volte il minimo Inps (2.466 euro) al ricalcolo contributivo del trattamento, fino al compimento dei 67 anni, requisito ordinario della vecchiaia, alle cosiddette finestre (la differenza tra la maturazione dei requisiti e l’uscita effettiva), di 9 mesi per i dipendenti pubblici, di 7 per i privati. Confermati anche Opzione donna (che permette di uscire a 61 anni e 35 di contributi al 31 dicembre 2024 con anticipazioni di età in base ai figli a caregiver, invalidità, licenziate), con il ricalcolo contributivo dell’assegno, e l’Ape sociale, che consente ai lavoratori che svolgono mansioni gravose o che appartengono alle categorie citate di lasciare il lavoro a 63 anni e 5 mesi con 30, 32 o 36 di contributi per un massimo di 1.500 euro lordi.
INCENTIVI A RESTARE
Oltre alla flessibilità in uscita, ci sono interventi per favorire la permanenza al lavoro di chi raggiunga i requisiti per uscire. Ci si riferisce al bonus Maroni per chi ha i requisiti per Quota 103 o per la pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi di contributi: se non si va in pensione si può ottenete in busta paga la quota di contributi a carico del lavoratore, che è pari a circa il 10 per cento. Nel settore pubblico, invece, viene eliminato il limite ordinamentale, di solito fissato a 65 anni. Con la conseguenza che dal 2025 il requisito anagrafico viene alzato per tutti all’età per la pensione di vecchiaia, 67 anni. Ma le Pubbliche amministrazioni possono trattenere in servizio fino a 70 anni i lavoratori che lo accettano per attività di tutoraggio e affiancamento ai neoassunti, oltre che per esigenze organizzative.
LA RIVALUTAZIONE
Si torna all’adeguamento dei trattamenti all’inflazione più favorevole secondo tre scaglioni: 100%, 90% e 75%, percentuali che calano al crescere delle fasce di importi. Le pensioni minime, invece, oltre alla rivalutazione del 100% dell’indice Istat, avranno anche una rivalutazione straordinaria del 2,2%: il trattamento minimo nel 2025 arriverà a 616,67 euro con un recupero di circa 2 euro rispetto al valore attuale (614,77 euro).
QUOTA 64 PER I GIOVANI
Dal prossimo anno, per conquistare le soglie previste per la pensione di vecchiaia e per quella anticipata con il sistema contributivo, i lavoratori post ‘95 potranno utilizzare una quota dell’eventuale rendita della pensione complementare. Di particolare rilievo la possibilità per il pensionamento anticipato a 64 anni. Chi vorrà uscire potrà sommare la rendita integrativa con la pensione pubblica per arrivare alla soglia prevista: 3 volte l’assegno sociale, ridotto a 2,8 volte per le donne con un figlio e a 2,6 volte per le donne con due o più figli, nel 2024 rispettivamente pari a 1.603,23 euro, 1.496,35 euro, 1.389,36 euro. In questo caso, però, il requisito di contribuzione richiesto salirà nel 2025 da 20 a 25 anni, e dal 2030 a 30 anni.