Martedì 24 Dicembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Braccio di ferro sulle pensioni. Rischia di saltare Opzione donna

Sulla previdenza prorogate le attuali misure. Ma il Mef chiede la stretta sull’anticipo: la platea è troppo limitata

Pensioni: gli importi mensili

Roma, 24 agosto 2023 – La partita della manovra è appena cominciata, ma siamo già al primo braccio di ferro tra il ministero dell’Economia e quello del Lavoro: l’oggetto del contendere è l’Opzione donna. Da un lato gli uomini di Via XX Settembre che vorrebbero eliminare, a partire dal prossimo anno, anche quel che rimane della formula di pensionamento anticipato delle donne. Dall’altro, la ministra Marina Calderone che, anzi, vorrebbe tornare alla versione large del canale di uscita valida fino allo scorso anno. Dunque, se è vero che sul capitolo previdenza non si andrà oltre la conferma delle misure operative già quest’anno (dall’Ape sociale al canale per i lavoratori precoci, fino a Quota 103), è altrettanto vero che, se prevarrà l’impostazione dell’Economia, per le lavoratrici si dovrebbe chiudere la possibilità residua (legata a particolari condizioni familiari) di lasciare il lavoro in anticipo a 59-60 anni sia pure con il calcolo (penalizzante) della rendita con il sistema contributivo. A spingere in questa direzione, secondo quanto risulta, sarebbe la considerazione in base alla quale con la stretta prevista dalla manovra per quest’anno le donne che, entro il 31 dicembre prossimo, finiranno per usufruire della Opzione non dovrebbero essere più di 10mila (7mila nel primo semestre): e, dunque, non avrebbe senso mantenere questa uscita per una platea così limitata. Attualmente la possibilità è riservata alle lavoratrici con 58 anni (se con due figli) o 59 (con un figlio) o 60 anni se licenziate, impegnate come caregiver o in condizioni di invalidità al 74 per cento. Il punto è che il giro di vite del 2023 ha prodotto una vera mobilitazione di comitati e gruppi di lavoratrici che hanno protestato contro il drastico ridimensionamento del canale. Tant’è che in più occasioni la stessa ministra del Lavoro ha ipotizzato il ritorno al regime più largo utilizzato fino a dicembre scorso: un regime che ha determinato l’uscita anticipata (ma auto-pagata con tagli anche del 20 per cento della pensione) di circa 90mila lavoratrici negli ultimi quattro anni. Solo che, al dunque, il ritorno alle regole precedenti non si è realizzato per problemi di copertura finanziaria. Il nodo è che una scelta come quella ipotizzata dall’Economia avrebbe uno scarso impatto concreto, ma un rilevante valore politico. E potrebbe rinfocolare le polemiche dei mesi scorsi. Da qui l’ipotesi, tutta da valutare, di tornare alla versione più favorevole, ma aumentando l’età di accesso a 60-63 anni, o di trasformare Opzione donna in un’altra forma di Ape sociale riservata alle stesse lavoratrici che oggi possono utilizzare la possibilità in via di estinzione. Certo è che, dando per scontato che non ci sarà spazio per Quota 41, c’è un capitolo tutto da affrontare e che da solo vale un terzo della manovra. Ci riferiamo alla rivalutazione degli assegni con l’inflazione acquisita che nel 2023 è già al 5,6% mentre va considerata anche la differenza tra quella riconosciuta l’anno scorso (il 7,3% per i trattamenti fino a quattro volte il minimo) e l’inflazione reale. Nella legge di bilancio dell’anno scorso la rivalutazione è stata tagliata per fasce a partire dagli assegni oltre quattro volte il minimo e quest’anno dovrebbe essere mantenuto quel criterio. L’intera operazione potrebbe valere oltre 13 miliardi. Nel bilancio preventivo Inps per il 2023 si segnala un aumento delle uscite per prestazioni di 14,26 miliardi "dovuto principalmente alla perequazione delle pensioni" deciso con la legge di Bilancio dell’anno scorso. Difficile che si possa scendere sotto quelle cifre.