Roma, 14 febbraio 2020 - La raffica di blocchi, sterilizzazioni, contingentamenti degli aumenti delle pensioni collegati all’inflazione ha fatto perdere ai pensionati italiani, negli ultimi nove anni, tra i mille e gli ottomila euro l’anno, a seconda dell’importo dell’assegno. Una cifra rilevante che non verrà mai più recuperata e che ha comportato un taglio permanente della prestazione. A sancire, nero su bianco, il danno derivante dal mancato adeguamento dei trattamenti all’incremento dei prezzi è un Rapporto della Uil realizzato sotto la supervisione del segretario confederale Domenico Proietti.
"Il blocco dell’indicizzazione delle pensioni dal 2011 ad oggi – scrivono i ricercatori del sindacato – ha generato danni gravissimi e permanenti a milioni di pensionati. I diversi meccanismi 'sperimentali', introdotti con il solo scopo di continuare a fare cassa sulle pensioni, hanno fortemente diminuito il potere di acquisto dei pensionati. Un esempio per tutti, un pensionato che nel 2011 aveva un assegno pari a 1.500 euro, oggi riceve una pensione pari a 1.575 euro, mentre se fosse stato utilizzato il meccanismo ordinario avrebbe ricevuto una pensione mensile pari a 1.649 euro, 962 in meno ogni anno: differenza che sarà destinata a crescere per effetto dei blocchi previsti fino al 2021". E, di conseguenza, la perdita è stata via via più grave al crescere dell’assegno. E così, per fare un altro esempio concreto, un pensionato con un assegno pari a 1.900 euro lordi mensili nel 2011 (importo tra le 4 e le 5 volte il minimo), ha subìto nel corso di questi 9 anni un mancato incremento pari a circa 1.378,83 euro lordi annui. In pratica – osservano dalla Uil - è come se quest’anno il pensionato percepisse una mensilità netta in meno. Per chi ha un assegno di 3.000 euro, nel 2011 la perdita annua supera i 4.670 euro, e raggiunge addirittura gli 8 mila euro con un trattamento previdenziale di 4.500 euro lordi del 2011.
Non basta, però, quanto si è perso. Essendo l’effetto dei blocchi permanenti, se non saranno varati meccanismi di recupero del potere di acquisto perso, tale penalizzazione – osserva Proietti – si trascinerà anche sull’importo della pensione per i prossimi anni. Insomma, la rivalutazione delle pensioni si è rivelata una sorta di bancomat per i governi che si sono succeduti dal 2011 in avanti: dal "Blocco Fornero" dichiarato, successivamente, incostituzionale, poi sostituito dal "Blocco Poletti", al "Blocco Letta" prorogato da Renzi, fino al "Blocco Conte" che, con la legge di bilancio per il 2019 ha istituito un nuovo rallentamento dell’indicizzazione dal 2019 al 2021.
Con l’ultima legge di bilancio l’attuale governo ha previsto un parziale miglioramento che riconosce, a decorrere da quest’anno, la rivalutazione piena non solo per le pensioni fino a 3 volte il minimo, ma anche per quelle fino a 4 volte (assegni sopra i 1.539 euro mensili lordi e fino a 2.052 euro). Il che, tradotto in concreto, ha prodotto per le pensioni da 2 mila euro un beneficio di pochi centesimi mensili. E’ il solo cambiamento in meglio del meccanismo che, invece, resta fermo a quello degli anni passati per tutte le altre fasce di reddito. E così l’indicizzazione al costo della vita nel 2020 sarà pari a più 0,4% rispetto al 2019. E il modesto aumento è riconosciuto pienamente solo per gli assegni fino a 2.052 euro mensili lordi. Sopra è erogato a scalare, al 77 per cento fino a circa 2.560 euro, al 52 fino a 3.078 euro, al 47 fino a 4.104 euro, al 45 fino a 4.617, al 40 per cento sopra l’ultimo importo.