Lunedì 23 Dicembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Manovra, Di Maio: pronti a votare no. Il punto su pensioni e reddito di cittadinanza

L'obiettivo del Governo: deficit all'1,9%. Previdenza, minime a 780 euro. Ma c'è l'incognita platea Pensioni, Di Maio: "La minima a 780 euro è certa". Scontro con la Fornero Manovra, Di Maio: reddito di cittadinanza da metà marzo Manovra, date e scadenze. Dal Def al verdetto Ue: quando sarà legge

Luigi Di Maio, vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico (Ansa)

Roma, 26 settembre 2018 - Governo e maggioranza sempre alle prese con numeri e misure della prossima legge di bilancio. Si conferma l’intenzione di fissare l’asticella del deficit appena sotto la soglia psicologica del 2%, all’1,9. E al contempo si ragiona della possibilità che nel corso dell’esame in Parlamento il tetto venga rivisto ancora una volta al rialzo, salendo di qualche decimale fino a un massimo del 2,1-2,2%. E Di Maio attacca: "Una nota al Def non coraggiosa e senza reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza, quota 100, risarcimento dei truffati dalle banche, non avrá i voti del M5S".

PENSIONI - Luigi Di Maio e tutto il Movimento insistono: la pensione di cittadinanza da 780 euro deve partire dal primo gennaio prossimo. E nessun pensionato deve avere un assegno inferiore a quella cifra. Peccato, però, che la tesi, se presa alla lettera, comporterebbe un costo di 10 miliardi di euro. A tanto ammonterebbe la copertura necessaria per assicurare l’obiettivo di portare sopra la soglia indicata tutte le prestazioni pensionistiche che risultano al di sotto. E, dunque, è più verosimile ipotizzare che l’integrazione, fino a 780 euro, possa riguardare solo i trattamenti di coloro che, come reddito familiare Isee, si trovano sotto la soglia di povertà. E in questa versione, la pensione di cittadinanza finirebbe per costare tra i 2 e i 3 miliardi di euro, una cifra comunque recuperabile. Senza contare le perplessità di fonte leghista, come quelle manifestate da Alberto Brambilla: «Sono totalmente contrario. Se io fossi un artigiano, un commerciante, un imprenditore, non verserei più, tanto se poi devo prendere 780 euro.... spacchiamo il sistema». 

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Il problema di fondo dell’operazione proposta dai grillini è nella definizione della cosiddetta platea dei possibili destinatari. Se nel novero delle prestazioni da integrare, consideriamo tutte quelle non solo previdenziali (basate sui contributi) ma anche assistenziali (assegno di invalidità, assegno sociale, pensione sociale), si superano i 4,5 milioni di trattamenti. E solo per far arrivare a 780 euro ai 970mila invalidi che percepiscono 285 euro al mese per tredici mesi, servirebbero circa 6,3 miliardi. Altri 4 miliardi ci vorrebbero per pagare l’integrazione ai 900mila circa che percepiscono la pensione sociale da 453 euro al mese. E nel conto mancano i pensionati integrati al minimo con assegno da 507 euro mensili.

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Lo scenario cambia, però, se si guarda al progetto originario del M5S, come fa notare Stefano Patriarca, esperto che contemplava la pensione di cittadinanza solo per i nuclei con un reddito familiare complessivo al di sotto della soglia di povertà: dunque non per tutti i pensionati sotto i 780 euro. Ma per una platea ben più ristretta, dalla quale sarebbero esclusi tutti coloro che hanno la casa di proprietà o comunque un reddito Isee familiare complessivo sopra la soglia di povertà. Con un onere per la finanza pubblica vicino ai 2 miliardi di euro. 

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REDDITO DI CITTADINANZA - Il capo grillino si mostra sicuro: «Da metà marzo 2019 – scandisce Luigi Di Maio – saranno avviati i centri per l’impiego con il reddito di cittadinanza erogato». Certo, insiste Matteo Salvini, «non è una priorità, ma quando prendo un impegno, firmo un accordo, faccio di tutto per portarlo avanti fino in fondo». E dunque in manovra una qualche forma di reddito di cittadinanza ci sarà. Anche qui il problema tuttora aperto è quello di definire la potenziale platea dei destinatari del sussidio da 780 euro mensili. E, di conseguenza, l’onere dell’operazione per le casse dello Stato. Per realizzare l’intervento nella sua versione più estesa, infatti, servirebbero almeno 10 miliardi. Ma, se si introducono un po’ di paletti, i costi potrebbero scendere anche notevolmente.    La distanza tra i 5 Stelle e il ministro dell’Economia (ma anche con la Lega) sul dossier riguarda proprio i limiti dell’operazione. Al momento, però, sarebbero stati accettati dai grillini due paletti non secondari. Il primo consiste nella previsione della cosiddetta prova dei mezzi come condizione base per conquistare il sostegno economico. In sostanza, servirà che l’interessato si sottoponga alla trafila per l’individuazione dell’Isee, il cosiddetto Indicatore della situazione economica equivalente. Si tratta di un meccanismo utilizzato per il Rei, il reddito di inclusione introdotto dai precedenti governi Pd. I 5 Stelle, però, vogliono una soglia più elevata: dunque, sopra i 7-8mila euro di Isee non si avrebbe diritto al reddito integrativo. Saranno esclusi anche coloro che sono proprietari di immobili.    Il secondo vincolo, anch’esso accettato dai 5 Stelle, riguarda la durata temporale del sostegno: non più di tre anni. Più controversa la partita sull’esclusione degli stranieri dai potenziali beneficiari. Fior di costituzionalisti si sono pronunciati contro: il compromesso potrebbe essere trovato fissando il vincolo della residenza in Italia da almeno dieci anni.  A queste condizioni, l’onere della misura potrebbe scendere anche intorno ai 6-8 miliardi per il 2019, che potrebbero trovare parziale copertura nei 2,7 miliardi di euro del Rei e nei 2 circa della Naspi, l’assegno di disoccupazione. Oltre che nei maggiori margini di bilancio derivanti dall’aumento del rapporto deficit/Pil.